giovedì 19 dicembre 2013

RIBELLARSI È GIUSTO! Ma quali sono gli obbiettivi?

Testo del volantino distribuito oggi davanti a Fincantieri a cura del Laboratorio Resistente di Monfalcone

RIDURRE LE TASSE O FARLE PAGARE A TUTTI ANCHE AGLI EVASORI?
L'incidenza delle imposte e dei contributi di sicurezza sociale sul costo del lavoro dipendente è del 44% in Italia, del 46% in Francia, del 45% in Germania e del 30% in Inghilterra (fonte Eurostat anno 2010).
Il salario medio annuo lordo di un lavoratore dipendente italiano è di 27.419€, di un francese 35.530€, di un tedesco 41.100€, di un inglese 38.047€ (eurostat 2009)
In Italia quindi i salari netti sono bassi poiché le paghe sono basse non perché sono troppo tassate!

Il fatto che i servizi pubblici siano scadenti e lo diventino sempre più dipende dall'inefficienza dell'amministrazione statale ma anche dal fatto che sempre più le nostre tasse vengono impiegate per pagare gli interessi del debito pubblico che è di 2100 miliardi di euro.
Ma ogni anno le imprese e i lavoratori autonomi evadono tra i 150 e i 200 miliardi di euro, e se lo Stato incassasse questi soldi il debito potrebbe essere facilmente riportato sotto controllo, e la qualità dei servizi potrebbe migliorare.
Il vero scandalo italiano è che il reddito annuo medio dichiarato dagli architetti nel 2012 è 29.100€, dagli albergatori 18.300€, dai gioiellieri 17.300€, dai negozianti di abbigliamento e calzature 6500€ e questo solo per fare degli esempi!
Ma stiamo parlando solo dei pesci piccoli: per citarne uno grande basta prendere l'ex presidente di Confindustria FVG Calligaris, indagato per una frode fiscale da 1.721.000€ per il solo 2006.

PRIMA GLI ITALIANI O TUTTI I LAVORATORI UNITI CONTRO I PADRONI?
Quello che sta succedendo da noi in Italia lo stanno vivendo tutti i lavatori in Europa. Dovunque i salari vengono messi in discussione, i servizi tagliati, gli orari di lavoro effettivi aumentati. E se in Italia ci dicono o accettate o faremo la fine della Grecia, in Francia dicono ai loro che faranno la fine degli italiani, ed in Germania degli spagnoli.

La verità è che tutti i poteri forti d'Europa si sono messi d'accordo per colpire i lavoratori con le politiche d'austerità!
E mentre loro colpiscono uniti, noi lavoratori non facciamo altro che prendercela con chi sta peggio, con i lavoratori stranieri ad esempio, che vengono dall'Asia o dell'est qui da noi, ma che magari per i lavoratori tedeschi sono proprio gli emigranti italiani.
L'unica risposta efficace non più venire che da una lotta comune di tutti lavoratori d'Europa, autoctoni o migranti!

TUTTI I POLITICI A CASA O CI VUOLE UNA VERA RIVOLUZIONE?
L'indignazione verso una classe politica inetta e corrotta è giustissima e doverosa. I salari di parlamentari e amministratori sono scandalosi. Ma cambiare le persone ora elette con altre moralmente integre è sufficiente?
La dimostrazione ce l'ha data il Movimento Cinque Stelle partito più votato alle scorse elezioni, con centinaia di parlamentari e senatori alla loro prima esperienza politica... che non è riuscito ad incidere minimamente sullo sfacelo del nostro paese.

Non basta cambiare le persone, bisogna cambiare il sistema!
Ci vuole un nuovo modo di produrre nel quale i diritti dei lavoratori e la tutela dell'ambiente vengano prima dei profitti, ci vuole un nuovo sistema democratico dove le decisioni siano partecipate da tutti e tutte con processo quanto più possibile assembleare, ci vuole una nuova società in grado di essere solidale con chi ha bisogno e che pretenda il dovuto contributo da parte di tutti i suoi membri.

Per fare questo è necessario rompere la passività e la rassegnazione, la mobilitazione non può limitarsi a chiedere meno tasse e non può essere fatta assieme a padroncini ed evasori: ci vuole una VERA RIVOLUZIONE per mettere in discussione l'intero sistema economico e politico, altrimenti per noi lavoratori non cambierà nulla!

lunedì 2 dicembre 2013

venerdì 6 dicembre h. 20
presso il KNULP via madonna dela mare 7/a

R.O.S.S.@ vi invita alla proiezione di "CATASTROIKA - privatization goes public", dagli autori di "DEBTOCRACY", un documentario che analizza lo spostamento dei beni comuni dalla gestione statale alle mani private, raccontando la storia delle privatizzazioni dei servizi nel mondo occidentale. Dalla Russia, passando per la Germania dell'est e il neoliberismo della Tatcher, arrivando ai giorni nostri alla Grecia, ma anche all'Italia, dove nonostante il referendum sull'acqua, le pressioni dell'Unione Europea per la privatizzazione del servizio idrico continuano...

Dopo la visione, presentazione della raccolta di firme per la petizione nazionale per un referendum sui TRATTATI ECONOMICI EUROPEI

giovedì 21 novembre 2013

Il CIE di Gradisca è stato “svuotato”… ora deve essere definitivamente chiuso!

L’apertura dell’allora CPT presso la ex-caserma Polonio a Gradisca d’Isonzo venne annunciata nel 2000 dal ministro del Governo Prodi Enzo Bianco. La struttura venne poi inaugurata dal ministro del Governo Berlusconi Pisanu. Già questo fatto la dice lunga sulla continuità che ha caratterizzato la politica sull’immigrazione dei governi di centro sinistra e centro destra che si sono succeduti fino ad arrivare alle odierne larghe intese.
Da subito la struttura di Gradisca, i cui 248 posti sono costati 17 milioni di euro, si è caratterizzata per essere una delle più repressive d’Italia: mura altissime, grate e inferiate ovunque, persino il cielo del cortile interno è coperto da reti, al pari di un carcere di massima sicurezza. Tutto questo per trattenere quelli che l’ipocrisia della legge definisce “ospiti” poiché dentro i CIE si finisce con un atto amministrativo e non dopo un processo penale (tanto è vero che non vi è il reato di evasione dai CIE, e teoricamente non si è puniti se si tenta di scappare…)
Si tratta di un vero e proprio lager che ormai da 12 anni offende lo spirito di una terra di confine come la provincia di Gorizia, da sempre abituata ad accogliere le genti e a confrontarsi con lo “straniero” in termini di apertura e multiculturalità.
Ma è con la Bossi Fini e l’allungamento dei periodo massimo di trattenimento degli “ospiti” da 6 a 18 mesi, demagogicamente giustificato con la necessità di identificare i migrati per poi poterli espellere (nella realtà il 90% dei trattenuti sconta i 18 mesi per poi essere messo alla porta con un foglio di via), che la situazione a Gradisca si fa intollerabile.
Iniziano a trapelare notizie di forme estreme di protesta come il cucirsi le labbra o altri atti di autolesionismo, ma non solo: esasperati dai lunghi mesi di trattenimento i migranti hanno dato vita ad un susseguirsi di rivolte e tentativi di fuga di massa. A questi episodi viene data una risposta da parte delle autorità di carattere fortemente repressivo: chiusura degli spazi comuni (mensa e cortile) per evitare gli “assembramenti”, eliminazione delle suppellettili dalla celle (caratterizzate da una carente predisposizione di giacigli idonei dove dormire) e privazione dei cellulari, il cui uso è invece ammesso dalla legge. Si susseguono inoltre indiscrezioni sull’uso della forza da parte delle “guardie” (all’interno del CIE staziona pure un reparto dell’esercito), denunce che sono state documentate da video e foto comparse anche in un’inchiesta del quotidiano “l’Unità“. Non è un caso se nella recente ispezione della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, il Presidente Luigi Manconi esce sconvolto dalla vista al centro, convenendo che la situazione è peggiore di quella del peggior carcere italiano, e ne chiede l’immediata chiusura.
E’ in questo contesto che si arriva alla “rivolta dei tetti“ dell’agosto 2013, quando decine di migranti più volte salgono sui tetti della struttura e vi rimangono per giorni rendendo quindi la loro protesta visibile dall’esterno e riuscendo così a bucare il silenzio che i mezzi d’informazione locali e nazionali mantengono su quello che avviene a Gradisca. E’ nel corso di una di questi episodi che un “ospite” 34enne cade dal tetto (qualcuno dice colpito da un lacrimogeno) e riporta un trauma tale da dover essere mantenuto in coma farmacologico.
Saranno questi fatti che finalmente smuovono le coscienze, rianimando nella società civile un movimento contro il CIE che durante la sua apertura e nel periodo immediatamente successivo era stato molto presente con manifestazioni, assemblee e cortei. Persino le forze politiche al governo della regione, con in testa la governatrice Seracchiani (PD) si vedono costrette a chiedere al governo Letta di intervenire.
Cosa che avviene nel fine settimana del 9-10 novembre quando tutti gli “ospiti” vengono trasferiti in altri CIE e in parte rilasciati con il foglio di via.
Ecco quindi il corteo di sabato 16 novembre ha sfilato davanti ad un CIE vuoto per chiedere che rimanga tale.
Si è trattato di un corteo abbastanza partecipato, con diverse centinaia di persone che hanno percorso le strade di Gradisca, fino a giungere alla strutture dove sono avvenute alcune “azioni“ di protesta, tra cui la verniciatura di una scritta contro i CIE sui muri dell’edificio.
Occorre però registrare alcuni elementi significativi sulla composizione di questo corteo. In primo luogo, una partecipazione leggermente inferiore alle aspettative rispetto alle innumerevoli adesioni all’appello per la manifestazione, tra cui figuravano personalità importanti del centrosinistra locale. Si è verificata un’assenza pesante delle maggiori forze politiche organizzate, al di là della partecipazione di singoli militanti o iscritti: pochissime le bandiere con i simboli “di partito“, a parte una presenza visibile del PRC e della nostra neonata organizzazione di Sinistra Anticapitalista. Da rilevare anche la sostanziale mancanza di interventi di natura specificamente sindacale, il che ha determinato la carenza tra le parole d’ordine della manifestazione di riferimenti alla specifica collocazione dei migranti nella catena di sfruttamento nel mondo del lavoro, privilegiando i richiami ad un’accezione più genericamente ”umana” ed ecumenicamente ”fraterna” di solidarietà.
Nutrita, comunque, la presenza delle associazioni e dei movimenti che si occupano da tempo del tema immigrazione, e che erano anche i promotori dell’evento.
Nel complesso si può affermare che, nonostante i limiti evidenziati, questa mobilitazione dai caratteri più marcatamente sociali che politici è stata positiva. Erano diversi anni che non veniva organizzato un vero e proprio corteo a Gradisca su questo tema, e inoltre era doveroso esprimere una risposta politica alla manifestazione di contenuti opposti organizzata della Lega Nord, che si sarebbe tenuta davanti al CIE l’indomani.
Vista tuttavia la presenza non particolarmente significativa dei migranti alla manifestazione (dovuta anche alla tensione determinata dalle rivolte dei giorni immediatamente precedenti e ai successivi trasferimenti), sarà importante lavorare per favorire la nascita di movimenti e processi di auto-organizzazione di questi settori della società; tutti fattori che nell’Isontino procedono ancora con una certa fatica, ma che da iniziative come questa possono trovare nuovi slanci.

mercoledì 20 novembre 2013

Presentazione del libro:"Francesco Moranino il comandante Gemisto - Un processo alla Resistenza"

Sabato 23 novembre presso il Laboratorio Resistente di Via Roma, 20 a Monfalcone dalle ore 16.30

Massimo Recchioni
* presenterà il suo ultimo libro:
"Francesco Moranino il comandante Gemisto - Un processo alla Resistenza"

all'incontro parteciparà la compagna Alessandra Kersevan coordinatrice del progetto “ResistenzaStorica”

La storia del processo al partigiano Francesco Moranino, il comandante «Gemisto», primo parlamentare della storia della Repubblica a subire l’autorizzazione a procedere e all’arresto.
Il libro di Recchioni contestualizza storicamente gli eventi che furono alla base della condanna di Moranino, inserendoli nel complesso contesto politico della Guerra fredda, spiegando come quella vicenda processuale fosse in realtà la metafora di un processo giudiziario molto più generale che mirava alla criminalizzazione della componente maggioritaria comunista della Resistenza, oltre che a minare la forza organizzativa e la grande autorevolezza di cui il Partito comunista godeva presso ampi strati popolari.
Il lavoro di Recchioni – che poggia su una ricchissima documentazione testimoniale recente e inedita di ex partigiani, sugli archivi dei familiari di Moranino, oltre che sui verbali delle sedute parlamentari, materiali processuali e iconografici – è un importante contributo alla ricostruzione storica del nostro travagliato Secondo dopoguerra.


Partecipate!

martedì 29 ottobre 2013

Dopo il 18 e il 19 ottobre

di Franco Turigliatto

Le giornate del 18 e del 19 ottobre hanno mostrato con chiarezza che un nuovo fermento e nuove disponibilità alla lotta si stanno manifestando nella società italiana e che l’autunno può essere portatore di una più forte ed ampia mobilitazione contro le politiche dell’austerità e contro il governo delle larghe intese guidato incostituzionalmente dal Presidente della Repubblica.
La situazione è in movimento, spinta dalla buona riuscita delle manifestazioni dei sindacati di base del 18 e dalla concomitante riuscita dello sciopero, se pure ancora in settori delimitati dei servizi, e dalla manifestazione dei movimenti sociali del 19 che ha fatto emergere le ragioni delle resistenze territoriali alla politica di devastazione del profitto, ma anche la rabbia, la determinazione e la lotta dei settori del proletariato più colpiti dalla crisi, molte volte posti in condizioni disperate a partire dall’emergenza abitativa. E’ strabiliante che uno studio della Coldiretti evidenzi che milioni di persone siano ormai in emergenza alimentare e che questo dato compaia solo per un giorno sui giornali, come dato meramente sociologico e non come atto d’accusa verso la politica della classe dominante e dei suoi zelanti maggiordomi del centro destra e centro sinistra.

Contro la divisione della classe lavoratrice

La violenza dell’attacco padronale contro l’occupazione e i salari spinge verso il basso milioni di persone; la disoccupazione e la mancanza di reddito si traducono immediatamente nell’impossibilità dell’accesso alle condizioni basilari dell’esistenza, disporre di una casa e di cibo sufficiente per vivere. Più colpiti di tutti i migranti e certi strati popolari che proprio perché privati di tutto hanno da perdere solo “le loro catene”.
In settori politicizzati che hanno avuto un ruolo importante nella manifestazione del 19 riemerge una vecchia e mai sopita teorizzazione che distingue tra i cosiddetti “garantiti” e i “non garantiti”. Naturalmente una delle caratteristiche della crisi e delle politiche borghesi è proprio quello di dividere al massimo la condizione dell’insieme della classe lavoratrice, di creare fossati, contrapposizioni, gerarchizzazioni e in questo modo di fronteggiare più facilmente la rabbia e la volontà di reagire alle politiche di austerità. Ma la caratteristica della crisi stessa determina continui mutamenti nella condizione sociale dei singoli: la famiglia e la condizione di una famiglia “garantita con due stipendi” cambia ed anche precipita all’improvviso quando anche solo uno dei due perde il lavoro e l’altro finisce in cassa integrazione. E se poi su di essa grava anche il mutuo della casa, il passo verso l’abisso è molto rapido. I lavoratori di una città una volta florida e “garantita” come Torino ne sanno qualcosa. Ed è esattamente quanto sta avvenendo nella nostra società. La struttura della famiglia italiana e i vecchi risparmi hanno finora contenuto parzialmente questa dinamica di crollo delle condizioni di vita, ma i margini si stanno restringendo sempre più e la precarietà e la povertà si estendono a macchia d’olio; anche le aree di coloro che sono ancora in condizioni più sicure (compresi settori della piccola borghesia) e che possono pensare di potersi salvare, rinunciando alla mobilitazione (“non mi agito e spero che io me la cavo”), sono destinate inevitabilmente a ridursi.
Naturalmente l’esperienza storica indica che la rabbia e la radicalizzazione possono avvenire anche sul versante della destra fascista e della reazione xenofoba e razzista, come molti segnali che arrivano da alcuni paesi dell’ Europa indicano e che devono indurci a moltiplicare gli sforzi per creare un movimento sociale e politico contro le politiche liberiste con rivendicazioni capaci di rispondere ai bisogni dei diversi strati del proletariato e prospettare la credibilità di un’alternativa anticapitalista.
Le forze sindacali e politiche che hanno dato vita e sostenuto la giornata del 18 e che sono stati presenti anche il 19, tra cui la nostra organizzazione, hanno lavorato e lavorano coscientemente per tenere uniti i protagonisti delle due giornate, per approfondire e sviluppare queste resistenze e mobilitazioni sociali costruendole in sinergia e dando loro una comune prospettiva rivendicativa e di lotta.
Molti si sono posti l’interrogativo: “e le lavoratrici e i lavoratori che si sono mobilitati il 12 ottobre per la difesa della Costituzione? “ Abbiamo già scritto su questo sito (vedi articolo) che la piazza del 12 e quella del 18/19 erano mosse da una radicalità politica diversa e che la prima era egemonizzata dalle posizioni di Sel, cioè una linea subalterna al PD che propone la logora idea di utilizzare forza conquistata per condizionare il PD, quasi che la storia politica recente non mostri la vanità di questo progetto.
Peraltro la conferma è arrivata quasi immediatamente. La cortese richiesta fatta ai parlamentari del PD di non avallare quel mostro antidemocratico che è la modifica dell’articolo 138 della Costituzione ha avuto subito una risposta netta e negativa da parte dei senatori del PD che l’hanno sostenuto con pochissime eccezioni; un mostro antidemocratico che ha rischiato di saltare (paradosso dei paradossi) solo per il voto contrario di una parte del PDL desideroso di salvare il suo capo e forse di far saltare il governo.
Si attendono spiegazioni da parte non solo di Sel, ma anche di Rotodà e della Fiom di Landini sul loro precorso strategico… Ma sappiamo già dove si collocano e dove andranno.
Ovviamente invece interessa dialogare con le lavoratrici e i lavoratori che erano presenti il 12 e che almeno in parte possono essere strappati all’egemonia moderata di quei gruppi dirigenti, uscendo dal vicolo cieco in cui sono condotti.

Unire quelli che il padrone divide

I compiti per una forza anticapitalista e rivoluzionaria, ma anche per tutte/i Le/i militanti di classe sono dunque estremamente semplici e terribilmente difficili nello stesso tempo: provare a unire quello che le forze borghesi dividono, cioè lavorare per una mobilitazione unitaria del proletariato. Uso questo termine classico proprio per rimarcare che stiamo parlando di tutti i settori sociali, compresi i disoccupati, della classe.
La dinamica che si è prodotta a partire dal 18/19 offre nuove potenzialità positive: bisogna utilizzare la forza propulsiva di quelle giornate per individuare altri momenti di lotta (la manifestazione del 16 novembre in Val Susa è un primo appuntamento che già riguarda tutti), per definire obbiettivi e contenuti (compresi vertenze precise per mantenere la continuità della lotta e per il raggiungimento di determinate tappe) che facciano maturare la coscienza della necessità di marciare insieme contro i padroni e il loro governo. Organizzare significa anche favorire la massima partecipazione, la democrazia più larga tra quelli che partecipano per decidere insieme contenuti, forme di lotte, percorsi di lavoro, cioè per favorire l’autorganizzazione democratica dei movimenti sociali e di classe.
Per cambiare i rapporti di forza, per mettere in difficoltà le forze borghesi politiche ed economiche, è necessario che settori sempre più ampi, dai metalmeccanici, alle lavoratrici/tori del commercio, all’insieme di coloro che operano nei servizi, nelle banche, insieme ai tanti precari che operano negli stessi comparti tornino a scioperare massicciamente, che escano dalla passività e riscoprano il gusto e il valore dell’azione collettiva: se i disgraziati lavoratori migranti della logistica sono i prima linea come è stato nelle lotte e nella manifestazione milanese del 18, anche altri settori possono capire che solo quella è la strada per difendersi.
Per questo tutti gli spazi devono essere utilizzati per allargare l’area della mobilitazione, compresi gli scioperi più o meno fantasma che le direzioni dei sindacati maggioritari hanno dichiarato, nel timore che la situazione sfugga al loro controllo: appunto, utilizziamo anche quelle giornate perché questo avvenga, perché lavoratrici e lavoratori vadano oltre il ristretto recinto prospettato dai burocrati sindacali.
I sindacati di base devono saper parlare all’insieme dei lavoratori e quindi anche agli iscritti della Cgil; la denuncia è necessaria, ma è necessaria una costante proposta unitaria rivolta ai suoi militanti per spezzare i muri innalzati dagli apparati confederali. Un compito particolare spetta alle compagne e ai compagni della Cgil impegnati in una battaglia congressuale di sinistra che può vivere ed avere forza solo nel rinnovato progetto di costruire il fronte contro le politiche liberiste.
Un forte collettivo di militanti sindacali di classe nella Cgil che interloquisce con i lavoratori e con i sindacati di base è una questione non secondaria, né marginale, ma un elemento decisivo nella ricostruzione di un sindacalismo di classe. Per questo il lavoro di queste compagne e compagni va sostenuto fino in fondo.

La dimensione politica

Poi c’è la dimensione politica; quali finalità e quale sbocco politico indicare a un movimento di lotta in costruzione tanto più se si approfondisse e si sviluppasse. Alcune delle forze protagoniste della mobilitazione del 19 non si pongono questa dimensione; i soggetti riformisti se la pongono invece, ma in una direzione sbagliata. Noi dobbiamo porcela in un progetto complessivo di rigetto delle politiche liberiste e all’interno di una battaglia anticapitalista coerentemente condotta.
Lo sbocco che sarebbe necessario – un governo alternativo di vera sinistra basato sulla mobilitazione delle masse – non è oggi alla portata, ma costruirne le premesse, cioè indicare prospettive politiche ed organizzative per andare in quella direzione è indispensabile; la crescita del movimento di massa ha bisogno di una prospettiva politica alternativa.
Sarebbe dunque un grave errore non proporre oggi la costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria; non si regge di fronte all’offensiva a tutto campo, compresa quella ideologica, della borghesia, senza lo sforzo costante per creare un collettivo di donne e uomini, che discuta, lavori, che faccia propaganda ed agitazione, che sia interno ai movimenti e che nello stesso tempo formi i propri militanti, senza alterigie, ma anche nella consapevolezza che serve una coscienza di classe complessiva.
Non si rende un buon servigio ai movimenti di massa reali se non si tesse anche questa tela: rimandarla ad altro tempo potrebbe essere fatale come è stato molte volte nella storia; e questa costruzione oggi non può che essere aperta, pubblica, democratica, verificata da tutte e tutti, un’organizzazione politica che non si nasconde, ma che difende e confronta la sua proposta politica con coloro che si mobilitano e lottano.
Sinistra Anticapitalista lavora su questi assi di fondo e proprio per questo condivide e partecipa ai tentativi di raggruppare in un fronte e in un movimento unitario coloro che perseguono un progetto anticapitalista, plurale e libertario; siamo infatti parte attiva del progetto di Ross@ che questo autunno muoverà i suoi passi decisivi.

lunedì 30 settembre 2013

mercoledì 2 ottobre Cremaschi presenta ROSS@ a Trieste

PRESENTAZIONE DI
ROSS@
Mercoledì 2 Ottobre ore 20.30
   Presso la saletta del Narodni Dom in via Filzi 14/b
introdurrà
Giorgio CREMASCHI

Un movimento politico di massa anticapitalista e libertario
contro la crisi e la rassegnazione:
costruiamo Ross@ anche a Trieste e in regione !

Le politiche di austerità imposte dalla Troika e ben eseguite dai diligenti governi nazionali stanno uccidendo ogni residuo di stato sociale e democrazia. Riparandosi dietro il paravento della crisi tutti i governi fanno guerra sociale ai loro popoli. Non più lavoratori, solo schiavi sottoposti a costante ricatto. Una realtà fatta sempre più di miseria e offesa alla libertà e alla dignità della persona.
Noi crediamo che, come nel 1848 e nel 1945, tutta l’Europa debba liberarsi dalla tirannia: allora dei sovrani assoluti prima e del fascismo poi, oggi del capitalismo finanziario e della sua oligarchia economica, politica e culturale.
Sentiamo drammaticamente urgente la necessità di costruire un’alternativa a questa barbarie, per questo oggi più che mai, al netto dei fallimenti di cui siamo certo ben consapevoli, sentiamo vive le nostre radici comuniste e libertarie, antifasciste e antirazziste, femministe e ambientaliste. e riteniamo necessario che anche in Italia tornino in campo il pensiero critico, i progetti, le pratiche di un movimento politico coerentemente anticapitalista e antiburocratico, calato appieno nella realtà delle cose e capace di coinvolgere i soggetti oppressi in una lotta che sappia superare la rassegnazione e la solitudine e convogliare le energie disperse, spesso raccolte da movimenti di protesta trasversali e ambigui, se non apertamente populisti e razzisti, o stancamente riversate con il proprio voto sempre più svuotato su partiti che hanno scelto di far da stampella al centrosinistra social-liberista.
Un movimento politico anticapitalista è necessario per ricostruire forza e unità in tutto il mondo oppresso e disperso dalla precarizzazione devastante che ha imperversato in questi venti anni.
Un movimento politico anticapitalista è inoltre possibile, grazie alle lotte sociali e del lavoro che esplodono in continuazione in tutto il mondo e grazie alle tante esperienze di sinistra alternativa che crescono in Europa: esse ci dicono che la strada che vogliamo percorrere è praticabile, purché si abbia il coraggio di ripartire su nuove basi.
Per questo abbiamo iniziato a costruire ROSS@, un passo concreto di un percorso comune - libero dal settarismo ma anche da generici appelli alla ”unità della sinistra” di sapore elettoralistico- che punti a costruire ora e assieme un movimento politico anticapitalista e libertario di massa, alternativo e indipendente rispetto agli attuali grandi schieramenti politici, per un mondo diverso di uguaglianza, libertà e giustizia sociale.
Organizza
Comitato NODEBITO

giovedì 5 settembre 2013

Siamo con la rivoluzione del popolo siriano. No all’intervento straniero!

Dichiarazione di Socialisti Rivoluzionari (Egitto) – Corrente della Sinistra Rivoluzionaria (Siria) – Unione dei comunisti (Iraq) – Al-Mounadil-a (Marocco) – Forum socialista (Libano) – Lega della Sinistra Operaia (Tunisia). Pubblicato il 31 agosto, 2013 in inglese sul sito al-Manshour.

Oltre 150 mila persone sono state uccise, centinaia di migliaia di feriti e disabili, milioni di sfollati dentro e fuori la Siria. Città, villaggi e quartieri sono stati distrutti completamente o in parte, utilizzando tutti i tipi di armi, tra cui aerei da guerra, missili Scud, bombe e carri armati, tutti pagati con il sudore e il sangue del popolo siriano. Tutto ciò con il pretesto di difendere la patria e di raggiungere l’equilibrio militare con Israele (la cui occupazione del suolo siriano è, in realtà, protetta dal regime siriano, che non è riuscito a rispondere a nessuna delle sue continue aggressioni).
Eppure, nonostante le enormi perdite e le calamità inflitte su tutti i siriani, nessuna organizzazione internazionale, nessuno Stato più o meno importante ha sentito il bisogno di offrire solidarietà concreta o di sostenere i siriani nella loro lotta per i più elementari diritti, la dignità umana e la giustizia sociale.
L’unica eccezione è stata quella di alcuni paesi del Golfo, più in particolare il Qatar e l’Arabia Saudita. Tuttavia, il loro scopo era quello di controllare la natura del conflitto e guidarlo in una direzione settaria, snaturando la rivoluzione siriana e puntando a farla abortire, essendo intimamente preoccupati che la fiamma rivoluzionaria raggiunga i loro lidi. E così hanno sostenuto gruppi oscurantisti Takfiri [propaggini violente del movimento salafita n.d.t.], provenienti per la maggior parte dai quattro angoli del mondo, per imporre una visione grottesca di governo basata sulla sharia islamica. Questi gruppi sono stati sempre più impegnati in massacri terrificanti contro i cittadini siriani che si opponevano alle loro misure repressive e alle aggressioni nelle aree sotto il loro controllo o sotto attacco, come nel recente esempio dei villaggi nelle campagne della Latakia.
Un ampio blocco di forze ostili, provenienti da tutto il mondo, sta cospirando contro la rivoluzione del popolo siriano, scoppiata in contemporanea con le rivolte che si sono diffuse in larga parte della regione araba e nel Maghreb negli ultimi tre anni. Le insurrezioni popolari miravano a porre fine a una storia di brutalità, ingiustizia e sfruttamento e ottenere i diritti di libertà, dignità e giustizia sociale.
Tuttavia, ciò ha portato non solo le brutali dittature locali, ma anche la maggior parte delle forze imperialiste a cercare di perpetuare il furto della ricchezza del nostro popolo, insieme alle classi e alle forze reazionarie in tutte quelle zone e nei paesi circostanti.
Per quanto riguarda la Siria, l’alleanza che combatte contro la rivoluzione popolare comprende una miriade di forze settarie reazionarie, guidate dall’Iran e le milizie confessionali in Iraq, e, con grande rammarico, le forze d’attacco di Hezbollah, che sta affogando nel pantano della difesa di un regime dittatoriale profondamente corrotto e criminale.
Questa spiacevole situazione ha colpito anche una parte importante della sinistra tradizionale araba con radici staliniste, sia in Siria stessa o in Libano, in Egitto, e nel resto della regione araba – e in tutto il mondo – che è chiaramente sbilanciata verso l’alleanza miserabile che circonda il regime di Assad. La giustificazione è che alcuni lo vedono come “resiliente” o addirittura come un regime di “resistenza”, nonostante la sua lunga storia – attraverso tutta la sua permanenza al potere – di tutela dell’occupazione sionista delle alture del Golan, la sua costante sanguinosa repressione dei vari gruppi di resistenza ad Israele, sia palestinesi che libanesi (o siriani), rimanendo inattivo e servile fin dalla guerra dell’ottobre 1973, riguardo le aggressioni israeliane nei territori siriani. Questo pregiudizio avrà gravi ripercussioni sulla posizione delle persone comuni siriane riguardo alla sinistra in generale.
Le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza in particolare, non sono stati in grado di condannare i crimini di un regime, che il popolo siriano ha respinto continuamente e pacificamente per più di sette mesi, mentre le pallottole dei cecchini e gli shabbiha [milizie armate in abiti civili a sostegno del regime di Assad n.d.t.] hanno colpito i manifestanti uno per uno e giorno dopo giorno e, mentre gli attivisti più influenti sono stati imprigionati e sottoposti alle peggiori forme di tortura e di eliminazione nelle prigioni e nei centri di detenzione. Per tutto il tempo, il mondo è rimasto completamente in silenzio e in uno stato di passività totale.
La situazione è rimasta la stessa con poche differenze dopo che il popolo rivoluzionario ha deciso di prendere le armi e l’emergere di quello che è divenuto noto come Esercito siriano libero (ESL) – il cui comando e i cui soldati provenivano in larga parte dall’esercito regolare. Ciò ha portato alla orribile escalation dei crimini da parte del regime.
L’imperialismo russo, il più importante alleato del regime baathista di Damasco, che gli fornisce tutti i tipi di sostegno, rimane in guardia per bloccare qualsiasi tentativo di condannare questi crimini nel Consiglio di Sicurezza. Gli Stati Uniti, d’altra parte, non trovano particolari problemi nella continuazione dello status quo, con tutte le ripercussioni evidenti e la distruzione del paese. Ciò nonostante le minacce e le intimidazioni utilizzati dal presidente degli Stati Uniti, ogni volta che qualcuno nell’opposizione solleva la questione dell’uso di armi chimiche da parte del regime, fino all’ultima escalation, quando si è ritenuto che si fosse attraversata una “linea rossa”.
E’ chiaro che Obama, che dà l’impressione di portare a compimento le sue minacce, si sarebbe sentito in grande imbarazzo se non lo avesse fatto, dal momento che ciò avrebbe avuto non solo un impatto negativo sul presidente, ma anche sull’immagine dello stato potente e arrogante che detiene agli occhi dei paesi arabi asserviti e del mondo intero.
L’attacco imminente contro le forze armate siriane è guidato in sostanza dagli Stati Uniti. Tuttavia, esso si verifica con la comprensione e la cooperazione dei paesi imperialisti alleati, anche in assenza di legittimazione attraverso la solita farsa, conosciuta come legittimità internazionale (vale a dire le decisioni dell’ONU, che era e rimane rappresentante degli interessi delle grandi potenze, che siano in conflitto tra loro o in alleanza, a seconda delle circostanze, delle differenze, e degli equilibri). In altre parole, l’attacco non attenderà il Consiglio di sicurezza a causa del veto russo-cinese annunciato.
Purtroppo, molti nell’opposizione siriana stanno puntando su questo attacco e sulla posizione degli Stati Uniti in generale. Essi ritengono che questo creerebbe loro un’opportunità per prendere il potere, saltando il movimento, le masse e la loro decisione indipendente. Non dovrebbe essere una sorpresa, quindi, che i rappresentanti di questa opposizione e dell’ESL non hanno avuto riserve sulla fornitura di informazioni agli Stati Uniti circa gli obiettivi proposti per l’attacco.
In tutti i casi, sosteniamo quanto segue:
  • L’alleanza imperialista occidentale colpirà diverse posizioni e le parti vitali delle infrastrutture militari e civili in Siria (con diverse vittime, come al solito). Tuttavia, come è stato annunciato, gli attacchi non saranno destinati a rovesciare il regime. Essi sono semplicemente destinati a punire, nelle parole di Obama, la leadership siriana corrente e salvare la faccia per l’amministrazione degli Stati Uniti, dopo tutte le minacce concernenti l’uso di armi chimiche.
  • Le intenzioni del presidente Usa di punire la leadership siriana non derivano, in qualsiasi modo o forma, dalla solidarietà di Washington con la sofferenza dei bambini che sono caduti nelle stragi Ghouta, ma dal suo impegno per quello che Obama chiama gli interessi vitali degli Stati Uniti e la sicurezza del loro territorio, oltre agli interessi e la sicurezza di Israele.
  • L’esercito siriano e i suoi alleati regionali, guidati dal regime iraniano, non avranno abbastanza coraggio, molto probabilmente, per compiere ciò che sembrava essere minacciato dai suoi alti funzionari, cioè che qualsiasi attacco occidentale contro la Siria avrebbe infiammato tutta la regione. Ma questa opzione rimane sul tavolo, come opzione finale con risultati catastrofici.
  • L’imminente aggressione imperialista occidentale non intende sostenere la rivoluzione siriana in alcun modo. Avrà lo scopo di spingere Damasco al tavolo delle trattative e consentire a Bashar al-Assad di ritirarsi dalla scena, mantenendo il regime in atto, allo stesso tempo migliorando notevolmente le condizioni per rafforzare la posizione dell’imperialismo USA contro l’imperialismo russo nella futura Siria.
  • Quanto più coloro che partecipano alla mobilitazione popolare in atto – che sono più coscienti, leali, e dediti al futuro della Siria e del suo popolo – realizzeranno questi fatti, le loro conseguenze, i risultati, e agiranno di conseguenza, tanto più ciò contribuirà ad aiutare il popolo siriano a scegliere con successo una vera direzione rivoluzionaria. Nel processo di una lotta ingaggiata sulla base degli interessi attuali e futuri del loro popolo, ciò produrrebbe un programma radicale, coerente con quegli interessi, che potrebbe essere promosso e messo in pratica sulla strada della vittoria.
No a tutte le forme di intervento imperialista, sia da parte degli Stati Uniti che della Russia.

No a tutte le forme di intervento settario e reazionario, sia da parte dell’Iran che dei paesi del Golfo.

No all’intervento di Hezbollah, che merita la nostra massima condanna.

Basta con tutte le illusioni circa l’imminente attacco militare degli Stati Uniti.

Aprire i depositi di armi per il popolo siriano a lottare per la libertà, la dignità e la giustizia sociale.

Vittoria per una Siria libera e democratica e sempre abbasso la dittatura di Assad e tutte le dittature.

Viva la rivoluzione del popolo siriano.

mercoledì 28 agosto 2013

No all’ipocrisia dell’intervento imperialista “umanitario” in Medio Oriente!

Abbasso il tiranno Assad!

Mentre ONU come al solito guarda altrove, le maggiori potenze imperialiste discutono senza reticenze come intervenire nella crisi siriana che hanno contribuito ad aggravare finanziando ciascuna i “propri” ribelli. L’intervento naturalmente non ha certo la funzione di sostenere i diritti democratici del popolo siriano, ma di garantire gli specifici interessi economici e geopolitici dei paesi capitalistici occidentali. Con la consueta ipocrisia hanno ignorato tre anni di stragi che hanno provocato più di 100.000 morti e milioni di profughi, e per poi fissare unilateralmente una “linea rossa” per giustificare l’intervento diretto, presentato come “umanitario”. Da anni infatti il regime dittatoriale di Assad ha condotto una vera e propria guerra contro il suo popolo per mantenersi al potere ricorrendo alle più feroci repressioni e a veri e propri stermini di massa per impedire che il movimento di massa lo rovesciasse.
Se non otterranno una qualche ambigua dichiarazione delle Nazioni Unite, le potenze occidentali utilizzaranno come in Kosovo la copertura (giuridicamente infondata) di una coalizione di parte come la NATO.
I disaccordi su tempi e modi per l’aggressione, sono legati soprattutto a motivi di equilibri interni a ciascun paese imperialista, ma anche a incertezze sull’esito. I bombardamenti “mirati” difficilmente distruggerebbero le forze specializzate nella repressione e darebbero anzi loro una motivazione “patriottica”, mentre colpirebbero sicuramente la popolazione già provata da tre anni di guerra civile, e potrebbero avere anche ripercussioni incontrollabili in vari paesi limitrofi, a partire dal Libano.
Le apparenti cautele della diplomazia del nostro paese sono tra l’altro legate proprio alla preoccupazione per un coinvolgimento dei contingenti militari italiani presenti nel Libano meridionale, del tutto inadeguati nel caso di una nuova esplosione della guerra civile in quel paese. D’altra parte un aperto coinvolgimento dell’intera area, potrebbe far saltare i precari equilibri imposti dal golpe militare in Egitto, dove sono presenti forti interessi di capitalisti italiani. Ma basterebbe poco a spingere il governo Letta-Napolitano a cercare un ruolo maggiore nella guerra, soprattutto se gli Stati Uniti, finora indecisi per contraddizioni interne e per il ricordo di brucianti fallimenti di analoghe imprese nell’area, si impegnassero decisamente e chiedessero il coinvolgimento anche dell’Italia, preziosa dal punto di vista strategico.
In ogni caso va ribadito che Stati Uniti e paesi europei, divisi ma egualmente poco credibili, non hanno nessun diritto a intervenire in Siria, soprattutto dopo aver ignorato le stragi precedenti che hanno soffocato una rivolta popolare spontanea e trasformato la Siria in un campo di battaglia.
Come hano scritto i compagni siriani della corrente rivoluzionaria (vedi comunicato) “La nostra rivoluzione non ha alleati sinceri, fatta eccezione per le rivoluzioni dei popoli della regione e del mondo e per i militanti che lottano ovunque per liberarsi di regimi oscurantisti, oppressivi e sfruttatori.”
D’altra parte i paesi occidentali hanno ignorato gli eccidi compiuti in Egitto dai militari golpisti o dagli eserciti sauditi nel Bahrein, ecc., e hanno continuato a produrre e vendere armi a tutte le parti in causa.
Ma occorre essere chiari anche su un altro punto: la condanna dell’aggressione e dei paesi che la preparano non può in nessun caso essere una motivazione, come succede per molti nel nostro paese, per una “riabilitazione di Bashar al Assad”, ultimo rampollo di una dinastia che ha compiuto nel corso della sua storia innumeravoli crimini e che ha spesso collaborato con l’imperialismo né per voltare le spalle alle legittime e fondamentiali aspirazioni democratiche del popolo siriano di cacciare la dittatura assassina.
Contro le imprese imperialiste rifiutiamo l’utilizzazione delle basi NATO in Italia, non solo in questa guerra. Nessuno minaccia il nostro paese. Le organizzazioni terroriste crescono e reclutano adepti proprio come risposta alla presenza di militari stranieri, come ha mostrato l’Afghanistan.

Rilanciamo la lotta contro le basi militari e contro la NATO, strumento imperialista!
No alla produzione e al commercio di armi letali!
No alle enormi spese militari che sottraggono risorse preziose al paese!
Sostegno al popolo siriano e agli altri popoli che lottano per la democrazia e la loro libertà.
Sostegno alle correnti rivoluzionarie che lottano contro Assad e contro ogni ingerenza imperialista.

giovedì 8 agosto 2013

Berlusconi libero, la Costituzione imprigionata

di Franco Turigliatto

La crisi politica italiana si contorce su se stessa senza che si intravedano a breve soggetti politici o sociali che possano imprimere mutamenti sostanziali e ancor meno determinarne soluzioni radicali alternative, qualsiasi sia il loro indirizzo.
Per questo l’ennesimo balletto a cui si assiste in questi giorni, le incertezze, le manovre e i ricatti degli esponenti del PDL nel tentativo di salvare comunque il capo e se stessi da una crisi che non può essere rovesciata, le mille divisioni del PD e la sua assoluta mancanza di qualsiasi ipotesi alternativa diversa dal tirare anch’esso a campare risulta insopportabile di fronte alla drammaticità sociale ed economica vissuta dalla stragrande maggioranza delle/dei lavoratrici/tori e cittadini. Tutto ciò esprime il carattere maledeorante del capitalismo italiano nella sua incapacità di darsi una direzione politica minimamente credibile; il padronato, dopo il fallimento sul piano politico, dell’operazione Monti, punta soltanto ad avere un governo, qualunque esso sia, che gestisca i suoi affari correnti, cioè l’applicazione delle ricette dell’austerità. E su questo terreno non può essere del tutto dispiaciuto.
La borghesia italiana avrebbe voluto fare a meno di Berlusconi da tempo, ma costui è pur sempre parte sua e non ha mai trovato gli strumenti e la forza per liberarsene davvero, così il capo del PDL resta presente, certo non più come prospettiva credibile, ma soggetto capace di mantenere una percentuale di consensi elettorali e di ricattare e mercanteggiare come fa ogni giorno.
E’ fin troppo ovvio che questo gioco del PDL è possibile anche e soprattutto per il ruolo perverso che il PD da sempre ha condotto nei confronti del centro destra e che lo ha portato a non vedere altra soluzione che quella dell’attuale coalizione, così ben “rappresentata” dal personaggio Letta.
L’abbiamo detto più volte e deve essere ripetuto, una denuncia giusta e sacrosanta che anche i grillini fanno: tra Pdl e PD non c’è alcuna reale divergenza di fondo. Per parte nostra specifichiamo che entrambi rispondono a un solo padrone: alla borghesia italiana e ai suoi interessi da cui deriva l’assunzione del credo liberista dominante e le correlate scelte involutive e autoritarie del quadro istituzionale, di cui il presidenzialismo è la punta dell’iceberg.
Non è un caso che costoro siano impegnati in un ulteriore vergognoso processo di svuotamento della costituzione, di manomissione dell’articolo 138, l’articolo che disciplina le modalità attraverso cui si possono cambiare le norme costituzionali prevedendo, in sostituzione, un iter molto più rapido e semplice, che faciliterebbe il loro compito di stravolgimento istituzionale.
E’ un ulteriore passaggio per rendere il testo costituzionale pienamente corrispondente alla realtà materiale profondamente cambiata che poco ha ormai a che vedere con l’ispirazione originaria.
Per altro modifiche costituzionali ampie e formali già sono state realizzate, a partire da quella dell’inizio del secolo del centro sinistra, per arrivare alla recente introduzione del pareggio di bilancio in costituzione; inoltre la ratifica del fiscal compact, che è un trattato internazionale, risulta palesemente in contraddizione con molte norme democratiche dello Statuto. A questi elementi si deve aggiungere più recentemente l’accordo del 31 maggio firmato dai sindacati maggioritari e dalla Confindustria che costituisce una palese violazione dei diritti sindacali e democratici sanciti dalla carta del ’48.
Hanno di certo ragione a protestare contro la modifica dell’articolo 138 gli intellettuali, i costituzionalisti, le decine di migliaia di cittadine e cittadini che hanno firmato l’appello contro questo ulteriore stravolgimento delle norme costituzionali. Ci sono tuttavia diversi problemi. Il primo è semplice; come mai molti (non tutti) di questi prestigiosi studiosi non si cono accorti o non hanno denunciato con forza le precedenti alterazioni?
Secondo ordine di problemi. Moltissimi di questi svolgono la loro attività politica e sociale dentro un’ottica in cui il PD resta un referente obbligato di cui non riescono a liberarsi; solo che il PD è parte fondamentale di questo disegno involutivo, è uno degli agenti della ferita democratica denunciata.
Esiste infine un terzo problema che ci riguarda tutti: in questa fase la sola battaglia democratica, anche se sacrosanta, può non avere la forza per essere vincente, di fronte a una società frantumata, con un movimento dei lavoratori disperso e demoralizzato e quindi senza un soggetto sociale capace di farsi carico di una lotta alternativa, prima ancora di un vero progetto alternativo.
Una forza come il movimento 5 stelle col passare dei mesi è riuscita ad affinare la sua azione parlamentare, anche attraverso un processo di selezione del suo personale politico, che può ora non sfigurare di fronte all’inguardabile schieramento di maggioranza e dei suoi rivolgimenti; ma la sua battaglia resta solo sul piano parlamentare e democratico, del tutto legittima; solo che se ci fosse una forza di classe questa dovrebbe essere raccordata a tutto campo con le battaglie e il radicamento sociali.
E’ proprio questa mancanza di lotta sociale che lascia ampi margini di azione alla borghesia, pur di fronte alla sua crisi di direzione: la crisi politica si macera in una disgustosa mucillaggine, ma le misure economiche e il degrado sociale vanno avanti giorno dopo giorno mentre si profilano i provvedimenti dell’autunno per dare corpo alle norme del fiscal compact.
Le responsabilità delle forze sociali, i sindacati, che ancora hanno un riferimento al movimento dei lavoratori sono dunque enormi; le ricordiamo perché sono uno dei dati di fondo della situazione italiana e devono essere denunciate.
In questa fase pare difficile poter ottenere dei risultati reali, se non si prova a tenere insieme la battaglia sociale per il salario e il lavoro e le battaglie democratiche; solo un fronte di forze politiche, sociali ed intellettuali che integri in sinergia questi due aspetti in un’ottica di classe potrebbe far brillare un raggio di luce nel cielo per ora plumbeo del paese.
Per quel che ci riguarda non disdegniamo le battaglie democratiche, e siamo più che mai disponibili a praticarle, ma sappiamo che oggi la chiave di volta richiede un autunno di forte mobilitazione sociale e democratica contro questo governo e le sue misure e ampi settori di lavoratori capaci di reagire e di ritrovare la strada della lotta.
Per parte nostra lavoreremo a fondo perché si realizzi un fronte sociale e politico di coloro che rigettano l’austerità e si oppongono a ogni tipo di involuzione antidemocratica, non coinvolti nel gioco delle manovre e delle piccole alleanze.
Poi naturalmente chiediamo a tutte e tutti coloro che condividono la nostra prospettiva politica di costruire insieme a noi, a partire dalla partecipazione al nostro seminario fondativo del 20-22 settembre a Chianciano, una più forte e radicata organizzazione politica, per sviluppare un ampio movimento anticapitalista e libertario nel nostro paese.

lunedì 5 agosto 2013

20-22 SETTEMBRE 2013: Assemblea fondativa seminariale di Sinistra Anticapitalista

Dalla classe lavoratrice e dai movimenti sociali un progetto rivoluzionario per il socialismo

Quest’anno il tradizionale seminario di settembre dell’organizzazione si svolgerà in Toscana, a Chianciano Terme (Hotel Villa Ricci).

1. Sarà qualcosa di più di un semplice seminario; si tratta di una vera assemblea fondativa di una nuova organizzazione, del rilancio dell’attività del nostro collettivo politico e della ridefinizione del nostro profilo politico di classe e rivoluzionario. Questa nuova organizzazione prenderà il nome di Sinistra anticapitalista.
Invitiamo a parteciparvi non solo tutte e tutti le/i nostre iscritti/i, ma anche tutte /i coloro che guardano con simpatia alle nostre proposte politiche e che con noi già lavorano sui luoghi di lavoro, di studio, nei movimenti sociali.

2. La vecchia Sinistra Critica, emersa dalla storia e dalla battaglia politica in Rifondazione Comunista, viene dunque superata dallo sviluppo degli avvenimenti, non ultimo la scelta di una parte di Sinistra Critica di utilizzare altre modalità di intervento politico e dalla nostra volontà invece di costruire un’organizzazione rivoluzionaria più radicata nella classe lavoratrice e nello stesso tempo partecipe degli sforzi unitari per costruire la resistenza e la lotta contro il sistema capitalista.
In questa metamorfosi naturalmente il nostro profilo comunista, ecologista e femminista non declina, ma si enfatizza.

3. I lavori saranno preparati da un testo politico, che discuteremo anche in assemblee preparatorie locali nella prima parte di settembre. Nel testo ci sarà una lettura della crisi capitalista, dei movimenti di resistenza, dei livelli di coscienza di classe, del rapporto tra organizzazione e sviluppo dei movimenti; includerà una parte sulla costruzione del progetto politico alternativo, del movimento rivoluzionario per il socialismo, o come viene precisato per l’ecosocialismo.

4. Una parte dei lavori sarà fortemente caratterizzata da una visione internazionalista, con la presenza di militanti rivoluzionari/e di altri paesi e con il reciproco scambio di esperienze. Saranno infatti presenti delegazioni dalla Grecia, dalla Francia e dalla Germania, oltre naturalmente alle compagne e ai compagni svizzere/i con cui già da tempo intratteniamo un comune lavoro.

Le compagne/i di Sinistra Critica, che partecipano alla costruzione di Sinistra Anticapitalista

I lavori

Venerdì 20 settembre

ore 15,00 Apertura e presentazione del seminario
ore 15,15 Relazione introduttiva
ore 16,00 -19,30 dibattito
ore 21,30 Incontro “La situazione italiana spiegata alle delegazioni internazionali”

Sabato 21 settembre

ore 9,00 Riunione commissioni di lavoro
ore 10,30 Report commissioni in assemblea plenaria. Relazione sulla situazione europea e ripresa del dibattito
ore 13,30 Interruzione pranzo
ore 15,00 -19,30 Ripresa assemblea plenaria (in questa fase dell’assemblea
sono previsti gli interventi degli ospiti sia internazionali sia italiani)
ore 21,30 Commissioni di lavoro su Francia, Germania e Grecia con le delegazioni dei tre paesi.

Domenica 22 settembre

ore 9,00 Ripresa assemblea plenaria
ore 12,00 Conclusioni politiche
ore 13,00 Votazioni documenti e elezione del coordinamento
ore 13,30 Chiusura dell’Assemblea

I costi di partecipazione

Anche in questa occasione operiamo diversi livelli di costo:
  • 100 euro per due giorni di pensione completa a persona per coloro che hanno una lavoro stabile o assimilato.
  • 70 euro per due giorni di pensione completa a persona per coloro che sono in cassa integrazione, lavoro precario, studenti ecc.
  • Per quanto riguarda i disoccupati si tratterà di fare una valutazione con il circolo locale per garantire un sostegno sufficiente.
I costi sono relativi al soggiorno in camera a due letti. La camera singola ha costi aggiuntivi (15 euro al giorno), ma le camere singole disponibili sono assai poche.

Dove:

Hotel Villa Ricci
Viale G. Di Vittorio, 51 – Chianciano Terme
Tel. +39 0578 63906 Fax +39 0578 63660

 Come arrivarci:

  • per chi arriva in macchina in autostrada provenendo da Roma l’uscita autosdradale è CHIUSI CHIANCIANO;
  • per chi arriva in treno sempre da Roma la stazione in cui scendere è CHIUSI. Davanti alla stazione c’è la navetta che sale a CHIANCIANO.
La federazioni locali organizzeranno viaggi collettivi (utilizzando le macchine) per favorire la massima partecipazione. Per rendere contatti con i compagni e le compagne leggere la pagina dei contatti.

Che fare del debito e dell’Euro? Un manifesto

La crisi L’Europa sta sprofondando nella crisi e nell’arretramento sociale, sotto la pressione dell’austerità, della recessione e della strategia di “riforme strutturali”. Tale pressione è rigorosamente coordinata a livello europeo, sotto direzione del governo tedesco, della Banca centrale europea (BCE) e della Commissione europea (CE): C’è vasta convergenza nel sostenere l’assurdità di queste politiche come pure sul fatto che a guidarle ci siano degli “analfabeti”: l’austerità di bilancio non riduce il gravame del debito, genera una spirale recessiva, sempre maggiore disoccupazione e semina disperazione fra le popolazioni europee.
Eppure, esse sono del tutto razionali dal punto di vista della borghesia. Costituiscono uno strumento drastico – una terapia d’urto – per ricostituire i profitti, garantire le rendite finanziarie e realizzare le controriforme neoliberiste. Quel che succede, in sostanza, è la legittimazione ad opera degli Stati dei diritti della finanza di taglieggiare le ricchezze prodotte. Per questo la crisi assume la forma di una crisi dei debiti sovrani.

Il falso dilemma
Questa crisi è rivelatrice: dimostra come il progetto neoliberista per l’Europa non fosse sostenibile. Esso presupponeva che le economie europee fossero più omogenee di quanto non lo siano in realtà. Le differenze fra i paesi si sono approfondite in funzione del loro inserimento nel mercato mondiale e della loro sensibilità al tasso di cambio dell’euro. I tassi d’inflazione non sono stati convergenti e i deboli tassi d’interesse reale hanno favorito le bolle finanziaria e immobiliare e intensificato i flussi di capitale tra i vari paesi.
Tutte queste contraddizioni, inasprite dall’introduzione dell’unione monetaria, esistevano prima della crisi, ma sono esplose con gli attacchi speculativi ai debiti sovrani dei paesi più esposti.
Le alternative progressiste a questa crisi passano per una profonda rifondazione dell’Europa: la collaborazione è indispensabile a livello europeo, ma anche a quello internazionale, per la ristrutturazione industriale, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo dell’occupazione. Poiché però una simile rifondazione globale non sembra a portata di mano visto l’attuale rapporto di forza, in diversi paesi l’uscita dall’euro viene presentata come soluzione immediata. Il dilemma sembra, quindi, essere quello di un’uscita arrischiata dall’eurozona e un’ipotetica armonizzazione europea che dovrebbe emergere dalle lotte sociali. Secondo noi, si tratta di una falsa contrapposizione: è invece decisivo elaborare una valida strategia politica di confronto immediato.
Ogni trasformazione sociale comporta la rimessa in discussione degli interessi sociali dominanti, dei loro privilegi e del loro potere, ed è vero che questo scontro si svolge principalmente in un quadro nazionale. Ma la resistenza delle classi dominanti e le misure di ritorsione cui sono in grado di ricorrere vanno al di là del quadro nazionale. La strategia di uscita dall’euro non contempla a sufficienza la necessità di un’alternativa europea, ed è per questo che occorre disporre di una strategia di rottura con l’“euro-liberismo” che consenta di fare emergere gli strumenti per un’altra politica. Questo testo non riguarda il programma, ma con quali strumenti realizzarlo.

Che cosa dovrebbe fare un governo di sinistra?
Siamo sommersi in quella che si potrebbe tecnicamente chiamare una “crisi di bilancio”. Questa crisi, che si protrae grazie al gioco combinato del “disindebitamento” del settore privato e delle politiche di austerità di bilancio, ha la sua origine nella passata accumulazione di attivi fittizi, non corrispondenti ad alcuna base concreta. Praticamente, ciò significa che i cittadini i sono oggi costretti a pagare per il debito, in altri termini a legittimare i diritti della finanza di taglieggiare la produzione e le entrate fiscali presenti o future.
Gli Stati europei, con un’operazione rigorosamente coordinata a livello europeo – e anche a livello mondiale – hanno deciso di nazionalizzare i debiti privati trasformandoli in debito sovrano e di imporre politiche di austerità e di trasfert per pagarli. È la scusa per mettere in atto “riforme strutturali”, i cui obiettivi sono classicamente neoliberisti: riduzione dei servizi pubblici e del Welfare, tagli delle spese sociali e flessibilizzazione dei mercati del lavoro, abbassando i salari diretti e indiretti. Una strategia politica di sinistra dovrebbe incentrarsi, secondo noi, sulla conquista di una maggioranza favorevole a un governo di sinistra in grado di spazzare via tutte queste imposizioni.

Liberarsi della presa dei mercati finanziari e controllare il deficit
A breve termine, una delle prime misure di un governo di sinistra dovrebbe essere quella di trovare i mezzi per finanziare il deficit pubblico, indipendentemente dai mercati finanziari. Questo è vietato dalla regole europee ed è invece la prima rottura da mettere in atto. Esiste un’ampia gamma di misure possibili, che non sono nuove e che sono state utilizzate in passato in diversi paesi europei: un prestito forzoso da parte delle famiglie più facoltose; il divieto di avere prestiti da non residenti; l’obbligo per le banche di una quota di obbligazioni pubbliche; una tassa sui trasferimenti internazionali di dividendi e sulle operazioni in conto capitale, ecc, e naturalmente una radicale riforma fiscale.
La cosa più semplice sarebbe che fosse la Banca centrale nazionale a finanziare il deficit pubblico, come avviene negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Giappone, ecc.. Sarebbe possibile creare un’apposita banca autorizzata a rifinanziarsi presso la Banca centrale, ma che avrebbe come principale funzione quella di acquistare obbligazioni pubbliche (è del resto quello che la BCE ha già fatto nella pratica).
Naturalmente il problema non è tecnico, in realtà. Si tratta di una rottura politica con l’ordinamento europeo. Senza questa rottura, ogni politica suscettibile di non “tranquillizzare i mercati finanziari” verrebbe immediatamente contrastata attraverso l’aumento del costo del finanziamento del debito pubblico.

Liberarsi della stretta dei mercati finanziari e ristrutturare il debito
Questa prima serie di misure immediate non è sufficiente a ridurre il carico del debito accumulato e degli interessi relativi. L’alternativa è allora questa: o un’eterna austerità di bilancio, o una moratoria immediata sul debito pubblico seguita da misure di annullamento del debito. Un governo di sinistra dovrebbe dire: “Non possiamo pagare il debito risucchiando i salari e le pensioni, e ci rifiutiamo di farlo”. Dopo aver avviato la moratoria, occorrerebbe organizzare un audit civico [inchiesta con larga partecipazione dei cittadini] per individuare il debito illegittimo, che in genere si riferisce a quattro elementi:
  • i “regali fiscali” passati concessi alle famiglie più abbienti, alle imprese e ai detentori di rendite;
  • i privilegi fiscali “illegali”: evasione fiscale, ottimizzazione fiscale, paradisi fiscali e amnistie;
  • i piani di salvataggio delle banche da quando è esplosa la crisi;
  • il debito creato dal debito stesso, per l’effetto valanga creato dalla differenza tra il tasso d’interesse e i tassi di crescita del PIL, erosi dalle politiche di austerità e di disoccupazione.
L’audit apre la strada all’imposizione di uno scambio di titoli del debito che consentirebbe di annullarne gran parte. È la seconda rottura.
Ma i debiti sovrani sono anch’essi mescolati con il bilancio delle banche private. Per questo il piano di salvataggio di un paese è in generale un piano di salvataggio delle banche. È indispensabile una terza rottura rispetto all’ordinamento neoliberista, e questa passa per il controllo dei movimenti internazionali di capitali, il controllo del credito e la socializzazione delle banche. È l’unico modo razionale per districare il groviglio di debiti. In fondo, è la scelta decisa in Svezia negli anni ’90 (anche se poi le banche sono state riprivatizzate).
Riassumendo, l’apertura di una strada alternativa richiede un insieme coerente di tre rotture:
  • il finanziamento delle emissioni di debito sovrano, passato e futuro
  • l’annullamento del debito illegittimo
  • la socializzazione di banche per il controllo del credito.
Sono gli strumenti per una reale trasformazione sociale. Come muoversi in pratica?

Per un governo di sinistra
Queste tre grosse rotture, indispensabili per resistere al ricatto finanziario, non possono andare in porto se non con un governo di sinistra. Benché le condizioni sociali e politiche di una strategia di convergenza e di lotta per un governo del genere varino largamente da un paese all’altro, l’intera Europa si è concentrata nell’estate 2012 sull’eventualità che Syriza potesse vincere le elezioni e costituire l’asse di questo governo in Grecia. Da allora, Syriza porta avanti una campagna sui temi essenziali che sosteniamo nel presente Manifesto: un governo di sinistra costituisce una coalizione per denunciare il memorandum della Trojka e ristrutturare il debito, allo scopo di preservare i salari, le pensioni, i servizi pubblici della sanità e dell’istruzione e la sicurezza sociale.
Il nostro approccio è in sintonia con quello di Syriza: «Niente sacrifici per l’euro».

Uscire dall’euro non è una garanzia di rottura con l’“euro liberismo”
È evidente che un governo di sinistra che prenda simili misure deve essere deciso ad applicare un programma socialista e disporre di un largo sostegno popolare. E quest’ultimo si ottiene solo se stabilisce chiaramente come obiettivi prioritari la lotta contro gli interessi della finanza, la ricostruzione di un’economia di piena occupazione e la gestione collettiva dei beni comuni. Non si deve deviare da questa strategia: se lo scopo è l’annullamento del debito, non ci si deve allontanare da questo obiettivo.
La coerenza e la chiarezza politica sono le condizioni per vincere – e per meritare di vincere. La prima misura di un governo di sinistra deve perciò essere la lotta contro il debito e l’austerità.
Perché questa politica “contro” sia efficace, un governo di sinistra deve basarsi su un ampio sostegno popolare ed essere disposto a utilizzare tutti gli strumenti democratici necessari per far fronte alla pressione degli interessi finanziari, incluse misure di nazionalizzazione dei settori strategici, e a uno scontro diretto con il governo Merkel, la BCE e la CE. La battaglia per la difesa della democrazia e delle conquiste sociali va estesa a livello soprannazionale. Ma se la politica di Bruxelles vi si oppone, la battaglia si dovrà alla fine portare avanti nei quadri nazionali che già esistono. In questa battaglia non dovrebbero esservi tabù sull’euro e tutte le opzioni dovrebbero rimanere aperte, compresa quella dell’uscita se non vi è alcun’altra soluzione nel quadro europeo, o se le autorità europee vi costringessero un paese, Ma non dovrebbe essere questo il punto di partenza.
La implicazioni di un’uscita dall’eurozona per un governo di sinistra dovrebbero essere esplicitate. In primo luogo, essa non consentirebbe automaticamente di reinstaurare la sovranità democratica: certo, il finanziamento del debito pubblico sfuggirebbe al controllo dei mercati finanziari, ma questo potrebbe essere esercitato attraverso la speculazione contro la nuova/vecchia moneta di un paese che avesse un deficit estero.
D’altra parte, il gravame del debito non si ridurrebbe. Aumenterebbe, al contrario, in relazione al tasso di svalutazione, poiché il debito si esprime in euro. In questa situazione, il governo sarebbe indotto a convertire il debito pubblico nella nuova moneta, il che equivarrebbe a un parziale annullamento: rientra nei poteri di uno Stato assumere una decisione del genere, anche se andrebbe previsto un conflitto internazionale. Ma le imprese private e le banche non dispongono dello stesso potere sovrano e, di conseguenza il valore dei debiti privati e finanziari aumenterebbe nella moneta nazionale. In questo quadro, la nazionalizzazione delle banche sarebbe alla fine una necessità, semplicemente per evitare il fallimento dell’intero settore del credito, cosa che implicherebbe un ulteriore aumento del debito pubblico di fronte alla finanza internazionale.
Inoltre, la svalutazione della nuova moneta scatenerebbe un processo inflazionistico che porterebbe all’aumento dei tassi d’interesse e all’aggravarsi del peso del debito e delle disuguaglianze dei redditi.
Infine, l’uscita dall’euro viene in genere presentata come una strategia tendente a conquistare parti di mercato grazie a una svalutazione concorrenziale. Questo tipo d’approccio non rompe con la logica della concorrenza di tutti contro tutti e gira le spalle a una strategia di lotta europea comune contro l’austerità.
Nel complesso, lottando senza fare dell’uscita dall’euro e dall’UE un criterio aprioristico, un governo di sinistra potrebbe ampliare i suoi margini di manovra e rafforzare il suo potere di negoziare basandosi sul probabile estendersi delle resistenze ad altri paesi dell’UE. Si tratta dunque di una strategia progressista e internazionalista, contrapposta a una strategia isolazionistica e nazionale.

Per una strategia di rottura ed estensione unilaterale
Le strategie progressiste si contrappongono al progetto neoliberista di concorrenza generalizzata.
Esse sono fondamentalmente cooperative e funzioneranno tanto meglio se si estenderanno al maggior numero di paesi. Ad esempio, se tutti i paesi europei riducessero l’orario di lavoro e istituissero un’imposta uniforme sui redditi da capitale, un simile collaborazione consentirebbe di evitare le conseguenze che si subirebbero se ci si limitasse a un solo paese. Per aprire questa strada di collaborazione, un governo di sinistra dovrebbe seguire una strategia unilaterale:
  • Le “buone” misure vengono attuate unilateralmente, ad esempio il rifiuto dell’austerità o la tassazione delle transazioni finanziarie.
  • Esse vengono accompagnate da misure protezioniste, ad esempio il controllo dei capitali.
  • L’avvio a livello nazionale di politiche in contrasto con le regole europee rappresenta un rischio politico di cui va tenuto conto. La risposta sta in una logica di estensione, perché queste misure – ad esempio il rilancio del bilancio o la tassa sulle transazioni finanziarie – vengano adottate da altri Stati membri.
  • Tuttavia, lo scontro politico con l’UE e con le classi dirigenti di altri Stati europei, soprattutto il governo tedesco, è inevitabile e la minaccia di uscita dall’euro non va esclusa a priori dalle possibili opzioni.
Questo schema strategico ammette che la rifondazione dell’Europa non può essere una condizione preliminare all’attuazione di una politica alternativa. Le eventuali misure di ritorsione contro un governo di sinistra vanno neutralizzate con contromisure, che effettivamente implicano il ricorso a dispositivi protezionistici. Ma l’orientamento non è protezionista nella comune accezione del termine, in quanto si protegge un processo di trasformazione sociale portato avanti dal popolo e non si proteggono gli interessi dei capitali nazionali nella loro concorrenza con altri capitali.
Si tratta, dunque, di un “protezionismo d’estensione”, chiamato a scomparire una volta generalizzate attraverso l’Europa le misure sociali per l’occupazione e contro l’austerità.
La rottura con le regole dell’UE non poggia su una petizione di principio, ma sulla legittimità di misure giuste ed efficaci, corrispondenti agli interessi della maggioranza e che vengono del pari proposte ai paesi vicini. Un simile orientamento strategico può allora essere rafforzato dalla mobilitazione sociale negli altri paesi e sorreggersi quindi su un rapporto di forza in grado di rimettere in discussione le istituzioni dell’EU. La recente esperienza dei piani di salvataggio neoliberisti messi in atto dalla BCE e dalla Commissione europea dimostra come sia assolutamente possibile aggirare un certo numero di disposizioni dei trattati dell’UE, e come le autorità europee non abbiano esitato a farlo, e in peggio. Per questo rivendichiamo il diritto di prendere misure che vadano nel senso buono, inclusa l’introduzione di un controllo dei capitali e di tutti i dispositivi che consentano di salvaguardare i salari e le pensioni. In questo schema, l’uscita dall’euro, ancora una volta, è una minaccia o un’arma di ultima istanza.
Questa strategia si basa sulla legittimità di soluzioni progressiste derivanti dal loro carattere di classe. Si tratta di una strategia collaborativa di rottura con il quadro attuale dell’UE, in nome di un altro modello di sviluppo basato su una nuova architettura per l’Europa: un bilancio europeo allargato, alimentato da una comune tassa sul capitale, che finanzi fondi di armonizzazione e investimenti socialmente ed ecologicamente utili. Non ci aspettiamo però che un cambiamento simile avvenga da solo, e poniamo all’ordine del giorno la lotta immediata contro il debito e contro l’austerità, per giuste misure di difesa dei salari e delle pensioni, della protezione sociale e dei pubblici servizi. È questo il nostro orientamento strategico per un governo di sinistra.

Primi firmatari:

Daniel Albarracín, Nacho Álvarez, Bibiana Medialdea (Stato spagnolo)
Francisco Louçã, Mariana Mortagua (Portogallo)
Stavros Tombazos (Cipro)
Giorgos Galanis, Özlem Onaran (Gran Bretagna)
Michel Husson (Francia)

Nuovi firmatari

Stato spagnolo: Manolo Garí, Antonio Sanabria, Jorge Fonseca, Teresa Pérez del Río, Lidia Rekagorri Villar (Euskal Herria)
Francia: Gilles Orzoni, Jacques Rigaudiat, Philippe Zarifian, Gilles Raveaud, Jacques Cossart, Nicolas Béniès, Marc Bousseyrol, Mathieu Montalban, Samy Johsua, Catherine Samary, Dany Lang, Bruno Théret, Claude Calame, Jean-Marie Harribey, Ozgur Gun, Patrick Saurin, Antoine Math, Pierre Khalfa, Eric Toussaint, Marc Mangenot, Jean Gadrey, Mireille Bruyère, Henri Philipson, Pierre Bitoun, Patrick Saurin, Pierre Khalfa, Bernard Guibert, Robert Kissous, Guillaume Etievant, Jean-Marie Roux, Jakes Bortayrou (Paese Basco), Thomas Coutrot, Philippe Légé, Olivier Lorillu, Boris Bilia, Christiane Marty

Pagina web: http://tinyurl.com/euro13
Traduzione di Titti Pierini