martedì 29 ottobre 2013

Dopo il 18 e il 19 ottobre

di Franco Turigliatto

Le giornate del 18 e del 19 ottobre hanno mostrato con chiarezza che un nuovo fermento e nuove disponibilità alla lotta si stanno manifestando nella società italiana e che l’autunno può essere portatore di una più forte ed ampia mobilitazione contro le politiche dell’austerità e contro il governo delle larghe intese guidato incostituzionalmente dal Presidente della Repubblica.
La situazione è in movimento, spinta dalla buona riuscita delle manifestazioni dei sindacati di base del 18 e dalla concomitante riuscita dello sciopero, se pure ancora in settori delimitati dei servizi, e dalla manifestazione dei movimenti sociali del 19 che ha fatto emergere le ragioni delle resistenze territoriali alla politica di devastazione del profitto, ma anche la rabbia, la determinazione e la lotta dei settori del proletariato più colpiti dalla crisi, molte volte posti in condizioni disperate a partire dall’emergenza abitativa. E’ strabiliante che uno studio della Coldiretti evidenzi che milioni di persone siano ormai in emergenza alimentare e che questo dato compaia solo per un giorno sui giornali, come dato meramente sociologico e non come atto d’accusa verso la politica della classe dominante e dei suoi zelanti maggiordomi del centro destra e centro sinistra.

Contro la divisione della classe lavoratrice

La violenza dell’attacco padronale contro l’occupazione e i salari spinge verso il basso milioni di persone; la disoccupazione e la mancanza di reddito si traducono immediatamente nell’impossibilità dell’accesso alle condizioni basilari dell’esistenza, disporre di una casa e di cibo sufficiente per vivere. Più colpiti di tutti i migranti e certi strati popolari che proprio perché privati di tutto hanno da perdere solo “le loro catene”.
In settori politicizzati che hanno avuto un ruolo importante nella manifestazione del 19 riemerge una vecchia e mai sopita teorizzazione che distingue tra i cosiddetti “garantiti” e i “non garantiti”. Naturalmente una delle caratteristiche della crisi e delle politiche borghesi è proprio quello di dividere al massimo la condizione dell’insieme della classe lavoratrice, di creare fossati, contrapposizioni, gerarchizzazioni e in questo modo di fronteggiare più facilmente la rabbia e la volontà di reagire alle politiche di austerità. Ma la caratteristica della crisi stessa determina continui mutamenti nella condizione sociale dei singoli: la famiglia e la condizione di una famiglia “garantita con due stipendi” cambia ed anche precipita all’improvviso quando anche solo uno dei due perde il lavoro e l’altro finisce in cassa integrazione. E se poi su di essa grava anche il mutuo della casa, il passo verso l’abisso è molto rapido. I lavoratori di una città una volta florida e “garantita” come Torino ne sanno qualcosa. Ed è esattamente quanto sta avvenendo nella nostra società. La struttura della famiglia italiana e i vecchi risparmi hanno finora contenuto parzialmente questa dinamica di crollo delle condizioni di vita, ma i margini si stanno restringendo sempre più e la precarietà e la povertà si estendono a macchia d’olio; anche le aree di coloro che sono ancora in condizioni più sicure (compresi settori della piccola borghesia) e che possono pensare di potersi salvare, rinunciando alla mobilitazione (“non mi agito e spero che io me la cavo”), sono destinate inevitabilmente a ridursi.
Naturalmente l’esperienza storica indica che la rabbia e la radicalizzazione possono avvenire anche sul versante della destra fascista e della reazione xenofoba e razzista, come molti segnali che arrivano da alcuni paesi dell’ Europa indicano e che devono indurci a moltiplicare gli sforzi per creare un movimento sociale e politico contro le politiche liberiste con rivendicazioni capaci di rispondere ai bisogni dei diversi strati del proletariato e prospettare la credibilità di un’alternativa anticapitalista.
Le forze sindacali e politiche che hanno dato vita e sostenuto la giornata del 18 e che sono stati presenti anche il 19, tra cui la nostra organizzazione, hanno lavorato e lavorano coscientemente per tenere uniti i protagonisti delle due giornate, per approfondire e sviluppare queste resistenze e mobilitazioni sociali costruendole in sinergia e dando loro una comune prospettiva rivendicativa e di lotta.
Molti si sono posti l’interrogativo: “e le lavoratrici e i lavoratori che si sono mobilitati il 12 ottobre per la difesa della Costituzione? “ Abbiamo già scritto su questo sito (vedi articolo) che la piazza del 12 e quella del 18/19 erano mosse da una radicalità politica diversa e che la prima era egemonizzata dalle posizioni di Sel, cioè una linea subalterna al PD che propone la logora idea di utilizzare forza conquistata per condizionare il PD, quasi che la storia politica recente non mostri la vanità di questo progetto.
Peraltro la conferma è arrivata quasi immediatamente. La cortese richiesta fatta ai parlamentari del PD di non avallare quel mostro antidemocratico che è la modifica dell’articolo 138 della Costituzione ha avuto subito una risposta netta e negativa da parte dei senatori del PD che l’hanno sostenuto con pochissime eccezioni; un mostro antidemocratico che ha rischiato di saltare (paradosso dei paradossi) solo per il voto contrario di una parte del PDL desideroso di salvare il suo capo e forse di far saltare il governo.
Si attendono spiegazioni da parte non solo di Sel, ma anche di Rotodà e della Fiom di Landini sul loro precorso strategico… Ma sappiamo già dove si collocano e dove andranno.
Ovviamente invece interessa dialogare con le lavoratrici e i lavoratori che erano presenti il 12 e che almeno in parte possono essere strappati all’egemonia moderata di quei gruppi dirigenti, uscendo dal vicolo cieco in cui sono condotti.

Unire quelli che il padrone divide

I compiti per una forza anticapitalista e rivoluzionaria, ma anche per tutte/i Le/i militanti di classe sono dunque estremamente semplici e terribilmente difficili nello stesso tempo: provare a unire quello che le forze borghesi dividono, cioè lavorare per una mobilitazione unitaria del proletariato. Uso questo termine classico proprio per rimarcare che stiamo parlando di tutti i settori sociali, compresi i disoccupati, della classe.
La dinamica che si è prodotta a partire dal 18/19 offre nuove potenzialità positive: bisogna utilizzare la forza propulsiva di quelle giornate per individuare altri momenti di lotta (la manifestazione del 16 novembre in Val Susa è un primo appuntamento che già riguarda tutti), per definire obbiettivi e contenuti (compresi vertenze precise per mantenere la continuità della lotta e per il raggiungimento di determinate tappe) che facciano maturare la coscienza della necessità di marciare insieme contro i padroni e il loro governo. Organizzare significa anche favorire la massima partecipazione, la democrazia più larga tra quelli che partecipano per decidere insieme contenuti, forme di lotte, percorsi di lavoro, cioè per favorire l’autorganizzazione democratica dei movimenti sociali e di classe.
Per cambiare i rapporti di forza, per mettere in difficoltà le forze borghesi politiche ed economiche, è necessario che settori sempre più ampi, dai metalmeccanici, alle lavoratrici/tori del commercio, all’insieme di coloro che operano nei servizi, nelle banche, insieme ai tanti precari che operano negli stessi comparti tornino a scioperare massicciamente, che escano dalla passività e riscoprano il gusto e il valore dell’azione collettiva: se i disgraziati lavoratori migranti della logistica sono i prima linea come è stato nelle lotte e nella manifestazione milanese del 18, anche altri settori possono capire che solo quella è la strada per difendersi.
Per questo tutti gli spazi devono essere utilizzati per allargare l’area della mobilitazione, compresi gli scioperi più o meno fantasma che le direzioni dei sindacati maggioritari hanno dichiarato, nel timore che la situazione sfugga al loro controllo: appunto, utilizziamo anche quelle giornate perché questo avvenga, perché lavoratrici e lavoratori vadano oltre il ristretto recinto prospettato dai burocrati sindacali.
I sindacati di base devono saper parlare all’insieme dei lavoratori e quindi anche agli iscritti della Cgil; la denuncia è necessaria, ma è necessaria una costante proposta unitaria rivolta ai suoi militanti per spezzare i muri innalzati dagli apparati confederali. Un compito particolare spetta alle compagne e ai compagni della Cgil impegnati in una battaglia congressuale di sinistra che può vivere ed avere forza solo nel rinnovato progetto di costruire il fronte contro le politiche liberiste.
Un forte collettivo di militanti sindacali di classe nella Cgil che interloquisce con i lavoratori e con i sindacati di base è una questione non secondaria, né marginale, ma un elemento decisivo nella ricostruzione di un sindacalismo di classe. Per questo il lavoro di queste compagne e compagni va sostenuto fino in fondo.

La dimensione politica

Poi c’è la dimensione politica; quali finalità e quale sbocco politico indicare a un movimento di lotta in costruzione tanto più se si approfondisse e si sviluppasse. Alcune delle forze protagoniste della mobilitazione del 19 non si pongono questa dimensione; i soggetti riformisti se la pongono invece, ma in una direzione sbagliata. Noi dobbiamo porcela in un progetto complessivo di rigetto delle politiche liberiste e all’interno di una battaglia anticapitalista coerentemente condotta.
Lo sbocco che sarebbe necessario – un governo alternativo di vera sinistra basato sulla mobilitazione delle masse – non è oggi alla portata, ma costruirne le premesse, cioè indicare prospettive politiche ed organizzative per andare in quella direzione è indispensabile; la crescita del movimento di massa ha bisogno di una prospettiva politica alternativa.
Sarebbe dunque un grave errore non proporre oggi la costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria; non si regge di fronte all’offensiva a tutto campo, compresa quella ideologica, della borghesia, senza lo sforzo costante per creare un collettivo di donne e uomini, che discuta, lavori, che faccia propaganda ed agitazione, che sia interno ai movimenti e che nello stesso tempo formi i propri militanti, senza alterigie, ma anche nella consapevolezza che serve una coscienza di classe complessiva.
Non si rende un buon servigio ai movimenti di massa reali se non si tesse anche questa tela: rimandarla ad altro tempo potrebbe essere fatale come è stato molte volte nella storia; e questa costruzione oggi non può che essere aperta, pubblica, democratica, verificata da tutte e tutti, un’organizzazione politica che non si nasconde, ma che difende e confronta la sua proposta politica con coloro che si mobilitano e lottano.
Sinistra Anticapitalista lavora su questi assi di fondo e proprio per questo condivide e partecipa ai tentativi di raggruppare in un fronte e in un movimento unitario coloro che perseguono un progetto anticapitalista, plurale e libertario; siamo infatti parte attiva del progetto di Ross@ che questo autunno muoverà i suoi passi decisivi.