giovedì 21 novembre 2013

Il CIE di Gradisca è stato “svuotato”… ora deve essere definitivamente chiuso!

L’apertura dell’allora CPT presso la ex-caserma Polonio a Gradisca d’Isonzo venne annunciata nel 2000 dal ministro del Governo Prodi Enzo Bianco. La struttura venne poi inaugurata dal ministro del Governo Berlusconi Pisanu. Già questo fatto la dice lunga sulla continuità che ha caratterizzato la politica sull’immigrazione dei governi di centro sinistra e centro destra che si sono succeduti fino ad arrivare alle odierne larghe intese.
Da subito la struttura di Gradisca, i cui 248 posti sono costati 17 milioni di euro, si è caratterizzata per essere una delle più repressive d’Italia: mura altissime, grate e inferiate ovunque, persino il cielo del cortile interno è coperto da reti, al pari di un carcere di massima sicurezza. Tutto questo per trattenere quelli che l’ipocrisia della legge definisce “ospiti” poiché dentro i CIE si finisce con un atto amministrativo e non dopo un processo penale (tanto è vero che non vi è il reato di evasione dai CIE, e teoricamente non si è puniti se si tenta di scappare…)
Si tratta di un vero e proprio lager che ormai da 12 anni offende lo spirito di una terra di confine come la provincia di Gorizia, da sempre abituata ad accogliere le genti e a confrontarsi con lo “straniero” in termini di apertura e multiculturalità.
Ma è con la Bossi Fini e l’allungamento dei periodo massimo di trattenimento degli “ospiti” da 6 a 18 mesi, demagogicamente giustificato con la necessità di identificare i migrati per poi poterli espellere (nella realtà il 90% dei trattenuti sconta i 18 mesi per poi essere messo alla porta con un foglio di via), che la situazione a Gradisca si fa intollerabile.
Iniziano a trapelare notizie di forme estreme di protesta come il cucirsi le labbra o altri atti di autolesionismo, ma non solo: esasperati dai lunghi mesi di trattenimento i migranti hanno dato vita ad un susseguirsi di rivolte e tentativi di fuga di massa. A questi episodi viene data una risposta da parte delle autorità di carattere fortemente repressivo: chiusura degli spazi comuni (mensa e cortile) per evitare gli “assembramenti”, eliminazione delle suppellettili dalla celle (caratterizzate da una carente predisposizione di giacigli idonei dove dormire) e privazione dei cellulari, il cui uso è invece ammesso dalla legge. Si susseguono inoltre indiscrezioni sull’uso della forza da parte delle “guardie” (all’interno del CIE staziona pure un reparto dell’esercito), denunce che sono state documentate da video e foto comparse anche in un’inchiesta del quotidiano “l’Unità“. Non è un caso se nella recente ispezione della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, il Presidente Luigi Manconi esce sconvolto dalla vista al centro, convenendo che la situazione è peggiore di quella del peggior carcere italiano, e ne chiede l’immediata chiusura.
E’ in questo contesto che si arriva alla “rivolta dei tetti“ dell’agosto 2013, quando decine di migranti più volte salgono sui tetti della struttura e vi rimangono per giorni rendendo quindi la loro protesta visibile dall’esterno e riuscendo così a bucare il silenzio che i mezzi d’informazione locali e nazionali mantengono su quello che avviene a Gradisca. E’ nel corso di una di questi episodi che un “ospite” 34enne cade dal tetto (qualcuno dice colpito da un lacrimogeno) e riporta un trauma tale da dover essere mantenuto in coma farmacologico.
Saranno questi fatti che finalmente smuovono le coscienze, rianimando nella società civile un movimento contro il CIE che durante la sua apertura e nel periodo immediatamente successivo era stato molto presente con manifestazioni, assemblee e cortei. Persino le forze politiche al governo della regione, con in testa la governatrice Seracchiani (PD) si vedono costrette a chiedere al governo Letta di intervenire.
Cosa che avviene nel fine settimana del 9-10 novembre quando tutti gli “ospiti” vengono trasferiti in altri CIE e in parte rilasciati con il foglio di via.
Ecco quindi il corteo di sabato 16 novembre ha sfilato davanti ad un CIE vuoto per chiedere che rimanga tale.
Si è trattato di un corteo abbastanza partecipato, con diverse centinaia di persone che hanno percorso le strade di Gradisca, fino a giungere alla strutture dove sono avvenute alcune “azioni“ di protesta, tra cui la verniciatura di una scritta contro i CIE sui muri dell’edificio.
Occorre però registrare alcuni elementi significativi sulla composizione di questo corteo. In primo luogo, una partecipazione leggermente inferiore alle aspettative rispetto alle innumerevoli adesioni all’appello per la manifestazione, tra cui figuravano personalità importanti del centrosinistra locale. Si è verificata un’assenza pesante delle maggiori forze politiche organizzate, al di là della partecipazione di singoli militanti o iscritti: pochissime le bandiere con i simboli “di partito“, a parte una presenza visibile del PRC e della nostra neonata organizzazione di Sinistra Anticapitalista. Da rilevare anche la sostanziale mancanza di interventi di natura specificamente sindacale, il che ha determinato la carenza tra le parole d’ordine della manifestazione di riferimenti alla specifica collocazione dei migranti nella catena di sfruttamento nel mondo del lavoro, privilegiando i richiami ad un’accezione più genericamente ”umana” ed ecumenicamente ”fraterna” di solidarietà.
Nutrita, comunque, la presenza delle associazioni e dei movimenti che si occupano da tempo del tema immigrazione, e che erano anche i promotori dell’evento.
Nel complesso si può affermare che, nonostante i limiti evidenziati, questa mobilitazione dai caratteri più marcatamente sociali che politici è stata positiva. Erano diversi anni che non veniva organizzato un vero e proprio corteo a Gradisca su questo tema, e inoltre era doveroso esprimere una risposta politica alla manifestazione di contenuti opposti organizzata della Lega Nord, che si sarebbe tenuta davanti al CIE l’indomani.
Vista tuttavia la presenza non particolarmente significativa dei migranti alla manifestazione (dovuta anche alla tensione determinata dalle rivolte dei giorni immediatamente precedenti e ai successivi trasferimenti), sarà importante lavorare per favorire la nascita di movimenti e processi di auto-organizzazione di questi settori della società; tutti fattori che nell’Isontino procedono ancora con una certa fatica, ma che da iniziative come questa possono trovare nuovi slanci.

mercoledì 20 novembre 2013

Presentazione del libro:"Francesco Moranino il comandante Gemisto - Un processo alla Resistenza"

Sabato 23 novembre presso il Laboratorio Resistente di Via Roma, 20 a Monfalcone dalle ore 16.30

Massimo Recchioni
* presenterà il suo ultimo libro:
"Francesco Moranino il comandante Gemisto - Un processo alla Resistenza"

all'incontro parteciparà la compagna Alessandra Kersevan coordinatrice del progetto “ResistenzaStorica”

La storia del processo al partigiano Francesco Moranino, il comandante «Gemisto», primo parlamentare della storia della Repubblica a subire l’autorizzazione a procedere e all’arresto.
Il libro di Recchioni contestualizza storicamente gli eventi che furono alla base della condanna di Moranino, inserendoli nel complesso contesto politico della Guerra fredda, spiegando come quella vicenda processuale fosse in realtà la metafora di un processo giudiziario molto più generale che mirava alla criminalizzazione della componente maggioritaria comunista della Resistenza, oltre che a minare la forza organizzativa e la grande autorevolezza di cui il Partito comunista godeva presso ampi strati popolari.
Il lavoro di Recchioni – che poggia su una ricchissima documentazione testimoniale recente e inedita di ex partigiani, sugli archivi dei familiari di Moranino, oltre che sui verbali delle sedute parlamentari, materiali processuali e iconografici – è un importante contributo alla ricostruzione storica del nostro travagliato Secondo dopoguerra.


Partecipate!