martedì 28 gennaio 2014

ELECTROLUX: Il lavoro cattivo scaccia quello buono. Allora cacciamo i padroni

di Franco Turigliatto

Nei corsi di economia sulla moneta i professori insegnano un principio semplice, ma fondamentale: la moneta cattiva scaccia quella buona dalla circolazione.
Che cosa significa? Significa che se in un dato paese e una economia esistono due monete correnti e una di questa, per determinate cause, comincia a deprezzarsi, quella di maggior valore e stabile scompare dalla circolazione, lasciando in campo soltanto la seconda che tenderà a svalutarsi sempre di più. La prima infatti viene tesaurizzata, cioè, cittadini e operatori economici, la ritirano dalla circolazione e la mettono in cassaforte come un tesoro per preservarne il valore e garantirsi una riserva economica e monetaria.
La stessa cosa succede al lavoro, quello di cattiva qualità, in mancanza di costrizioni normative e di rapporti di forza tra le classi favorevoli ai lavoratori, in un contesto di libera concorrenza capitalista (libere volpi in liberi pollai) tende a scacciare il lavoro buono, meglio retribuito e tutelato.
Ormai più di vent’anni fa dissero che era necessario favorire l’inserimento dei giovani al lavoro, che occorreva combattere il lavoro nero e che quindi bisognava introdurre forme più flessibili di contratto tali da spingere i padroni ad assumere regolarmente in queste nuove forme per loro più vantaggiose: vennero dapprima i contratti di formazione e lavoro, poi arrivò il pacchetto Treu col governo Prodi 1, poi la legge 30 e il decreto applicativo 276 con il governo Berlusconi 2 che portarono i contratti atipici e precari al numero di 43, sempre per “favorire l’occupazione e ridurre il lavoro nero”. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: la disoccupazione è al 12,8%, quella giovanile al 40%; il lavoro nero esiste come e quanto prima; si è via via ridotto il lavoro buono, quello a tempo indeterminato, quello difeso dai contratti nazionali di lavoro.
Ma la concorrenza”, ci dicono, “è un principio naturale, perché limitarla?” E “Perché non ridurre salari e stipendi del 25%” come è nelle necessità e nel progetto dei padroni europei e delle istituzioni. Così, tanto per cominciare, da venti anni gli aumenti salariali sono stati contenuti al di sotto dell’inflazione, poi nel pubblico impiego si sono bloccati gli stipendi. Ora che si è formato un enorme esercito di riserva, di senza lavoro, che preme sugli occupati il discorso diventa un semplice ricatto: “non vuoi accettare una riduzione di salario, allora io fuggo lontano, in Serbia, Bulgaria e tu arrangiati”. Ma le cose bisogna farle anche per bene, legalmente: ecco così che arriva prima l’articolo 8 della legge n. 148 del 2011 del governo Berlusconi, poi l’accordo interconfederale Confindustria e CGIL CISL e UIL del 28 giugno 2011, e poi infine il più recente accordo sindacati Confindustria del 31 maggio 2013, perfezionato con il regolamento del 10 gennaio 2014 che permette, a seconda delle aziende e delle situazioni di derogare dai contratti nazionali sul piano salariale e normativo. Derogare dalle norme, specie quelle penali, in genere significa finire in galera (almeno per i poveretti); in questo caso significa che i dirigenti sindacali accettano quanto propone il padrone per aumentare lo sfruttamento, cioè i contratti in deroga, quanto cioè Marchionne due anni fa ha imposto con la violenza e il ricatto ai lavoratori Fiat, indicando la strada da percorrere a tutti i padroni.
E’ stata lunga premessa storica per arrivare alla drammatica attualità del caso Electrolux.
All’improvviso (!?) l’Electrolux, una multinazionale che ha rilevato a suo tempo gli stabilimenti della Zanussi, esce con una proposta choc per ridurre il “costo del lavoro” che lascia tutti interdetti. E’ un’azienda svedese, qualcuno forse sperava anche in odore di socialdemocrazia; niente di meno vero, l’Electrolux è una azienda come le altre, agisce sul libero mercato e l’obiettivo è fare profitto; nessun problema, se per riuscirci, occorre tirare il collo ai dipendenti. La direzione riprende quanto il capo della Fiat aveva già imposto: “Lavoratrici e lavoratori dovete prendere o lasciare, mangiare questa minestra o saltare dalla finestra. Anzi vi cacciamo a pedate dalla porta stessa e ce ne andiamo altrove, dove facilmente possiamo trovare altri poveretti disposti a sopportare quello che voi oggi rifiutate”.
Le proposte aziendali sono semplici: stipendi che scendono da 1400 a 700-800 euro, riduzione del 20% dei premi aziendali, ore lavorate solo 6, blocco dei pagamenti delle festività, riduzione di pause e permessi sindacali, lo stop agli scatti di anzianità, chiusura di uno degli stabilimenti italiani. Poche idee, reazionarie, ma molto chiare.
All’improvviso tutti si stupiscono, i sindacati che gridano (giustamente) allo scandalo, la Serracchiani, della segreteria di Renzi, qualche dirigente della Lega che si è scordato di aver votato i provvedimenti di Berlusconi che già andavano in questa direzione e di aver dato una montagna di soldi all’azienda svedese quando è arrivata.
In fondo qual’è la colpa della direzione di Electrolux che ha subito trovato la benevola comprensione del ministro dello sviluppo Zanonato? Propone solo una “deroga” un pochino troppo “allargata”; esagera un poco nelle richieste, ma è perfettamente dentro lo spirito degli accordi siglati dai burocrati sindacali. La direzione dell’Electrolux sapendo che dovrà comunque fare una trattativa, si pone in una posizione vincente, chiedendo il massimo per portare a casa comunque un grosso risultato, anche se per chiudere l’accordo dovrà fare qualche limatura. Quelle limature che qualche esponente del governo o burocrate sindacali potrà domani presentare come grande vittoria, quando invece sarà un vergognoso cedimento e una sconfitta per i lavoratori.
Se le direzioni sindacali volessero fare sul serio, se volessero veramente impedire che dopo la vicenda Fiat quella Electrolux allarghi sempre più la breccia per cui il lavoro “buono”, ancora coperto da contratti nazionali, sia scacciato dal “lavoro in deroga”, dovrebbero immediatamente denunciare l’accordo di venti giorni fa, dire chiaramente che tutti i padroni che si comportano in questo modo debbono essere cacciati, che le aziende debbono essere requisite ed espropriate.
Dovrebbero anche chiamare i lavoratori ad occupare le fabbriche ed impedire che anche solo uno spillo esca dalle loro porte e finestre. Dovrebbero dire “ci siamo sbagliati, le cose in tutto il paese hanno preso una brutta piega per il lavoro; ma ora basta, lavoratrici e lavoratori di tutte le aziende, vi proponiamo una nuova stagione di lotta, vi proponiamo una piattaforma rivendicativa basata sulla difesa dei contratti nazionali, su aumenti salariali per tutti, sulla riduzione d’orario, sulle nazionalizzazioni e l’intervento pubblico diretto quanto i padroni licenziano, delocalizzano e ricattano. Vogliamo fare le assemblee in tutte le fabbriche, discutere democraticamente, passare dalle parole ai fatti, alla lotta, non lasceremo più i lavoratori di nessuna azienda a difendersi da soli e il più delle volte sprofondare, non lasceremo più che il lavoro cattivo scacci quello ancora parzialmente buono”.
Forse in questo modo la moneta buona, quella che permette di vivere decentemente, potrebbe ritornare a circolare nel nostro paese.