lunedì 5 agosto 2013

Che fare del debito e dell’Euro? Un manifesto

La crisi L’Europa sta sprofondando nella crisi e nell’arretramento sociale, sotto la pressione dell’austerità, della recessione e della strategia di “riforme strutturali”. Tale pressione è rigorosamente coordinata a livello europeo, sotto direzione del governo tedesco, della Banca centrale europea (BCE) e della Commissione europea (CE): C’è vasta convergenza nel sostenere l’assurdità di queste politiche come pure sul fatto che a guidarle ci siano degli “analfabeti”: l’austerità di bilancio non riduce il gravame del debito, genera una spirale recessiva, sempre maggiore disoccupazione e semina disperazione fra le popolazioni europee.
Eppure, esse sono del tutto razionali dal punto di vista della borghesia. Costituiscono uno strumento drastico – una terapia d’urto – per ricostituire i profitti, garantire le rendite finanziarie e realizzare le controriforme neoliberiste. Quel che succede, in sostanza, è la legittimazione ad opera degli Stati dei diritti della finanza di taglieggiare le ricchezze prodotte. Per questo la crisi assume la forma di una crisi dei debiti sovrani.

Il falso dilemma
Questa crisi è rivelatrice: dimostra come il progetto neoliberista per l’Europa non fosse sostenibile. Esso presupponeva che le economie europee fossero più omogenee di quanto non lo siano in realtà. Le differenze fra i paesi si sono approfondite in funzione del loro inserimento nel mercato mondiale e della loro sensibilità al tasso di cambio dell’euro. I tassi d’inflazione non sono stati convergenti e i deboli tassi d’interesse reale hanno favorito le bolle finanziaria e immobiliare e intensificato i flussi di capitale tra i vari paesi.
Tutte queste contraddizioni, inasprite dall’introduzione dell’unione monetaria, esistevano prima della crisi, ma sono esplose con gli attacchi speculativi ai debiti sovrani dei paesi più esposti.
Le alternative progressiste a questa crisi passano per una profonda rifondazione dell’Europa: la collaborazione è indispensabile a livello europeo, ma anche a quello internazionale, per la ristrutturazione industriale, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo dell’occupazione. Poiché però una simile rifondazione globale non sembra a portata di mano visto l’attuale rapporto di forza, in diversi paesi l’uscita dall’euro viene presentata come soluzione immediata. Il dilemma sembra, quindi, essere quello di un’uscita arrischiata dall’eurozona e un’ipotetica armonizzazione europea che dovrebbe emergere dalle lotte sociali. Secondo noi, si tratta di una falsa contrapposizione: è invece decisivo elaborare una valida strategia politica di confronto immediato.
Ogni trasformazione sociale comporta la rimessa in discussione degli interessi sociali dominanti, dei loro privilegi e del loro potere, ed è vero che questo scontro si svolge principalmente in un quadro nazionale. Ma la resistenza delle classi dominanti e le misure di ritorsione cui sono in grado di ricorrere vanno al di là del quadro nazionale. La strategia di uscita dall’euro non contempla a sufficienza la necessità di un’alternativa europea, ed è per questo che occorre disporre di una strategia di rottura con l’“euro-liberismo” che consenta di fare emergere gli strumenti per un’altra politica. Questo testo non riguarda il programma, ma con quali strumenti realizzarlo.

Che cosa dovrebbe fare un governo di sinistra?
Siamo sommersi in quella che si potrebbe tecnicamente chiamare una “crisi di bilancio”. Questa crisi, che si protrae grazie al gioco combinato del “disindebitamento” del settore privato e delle politiche di austerità di bilancio, ha la sua origine nella passata accumulazione di attivi fittizi, non corrispondenti ad alcuna base concreta. Praticamente, ciò significa che i cittadini i sono oggi costretti a pagare per il debito, in altri termini a legittimare i diritti della finanza di taglieggiare la produzione e le entrate fiscali presenti o future.
Gli Stati europei, con un’operazione rigorosamente coordinata a livello europeo – e anche a livello mondiale – hanno deciso di nazionalizzare i debiti privati trasformandoli in debito sovrano e di imporre politiche di austerità e di trasfert per pagarli. È la scusa per mettere in atto “riforme strutturali”, i cui obiettivi sono classicamente neoliberisti: riduzione dei servizi pubblici e del Welfare, tagli delle spese sociali e flessibilizzazione dei mercati del lavoro, abbassando i salari diretti e indiretti. Una strategia politica di sinistra dovrebbe incentrarsi, secondo noi, sulla conquista di una maggioranza favorevole a un governo di sinistra in grado di spazzare via tutte queste imposizioni.

Liberarsi della presa dei mercati finanziari e controllare il deficit
A breve termine, una delle prime misure di un governo di sinistra dovrebbe essere quella di trovare i mezzi per finanziare il deficit pubblico, indipendentemente dai mercati finanziari. Questo è vietato dalla regole europee ed è invece la prima rottura da mettere in atto. Esiste un’ampia gamma di misure possibili, che non sono nuove e che sono state utilizzate in passato in diversi paesi europei: un prestito forzoso da parte delle famiglie più facoltose; il divieto di avere prestiti da non residenti; l’obbligo per le banche di una quota di obbligazioni pubbliche; una tassa sui trasferimenti internazionali di dividendi e sulle operazioni in conto capitale, ecc, e naturalmente una radicale riforma fiscale.
La cosa più semplice sarebbe che fosse la Banca centrale nazionale a finanziare il deficit pubblico, come avviene negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Giappone, ecc.. Sarebbe possibile creare un’apposita banca autorizzata a rifinanziarsi presso la Banca centrale, ma che avrebbe come principale funzione quella di acquistare obbligazioni pubbliche (è del resto quello che la BCE ha già fatto nella pratica).
Naturalmente il problema non è tecnico, in realtà. Si tratta di una rottura politica con l’ordinamento europeo. Senza questa rottura, ogni politica suscettibile di non “tranquillizzare i mercati finanziari” verrebbe immediatamente contrastata attraverso l’aumento del costo del finanziamento del debito pubblico.

Liberarsi della stretta dei mercati finanziari e ristrutturare il debito
Questa prima serie di misure immediate non è sufficiente a ridurre il carico del debito accumulato e degli interessi relativi. L’alternativa è allora questa: o un’eterna austerità di bilancio, o una moratoria immediata sul debito pubblico seguita da misure di annullamento del debito. Un governo di sinistra dovrebbe dire: “Non possiamo pagare il debito risucchiando i salari e le pensioni, e ci rifiutiamo di farlo”. Dopo aver avviato la moratoria, occorrerebbe organizzare un audit civico [inchiesta con larga partecipazione dei cittadini] per individuare il debito illegittimo, che in genere si riferisce a quattro elementi:
  • i “regali fiscali” passati concessi alle famiglie più abbienti, alle imprese e ai detentori di rendite;
  • i privilegi fiscali “illegali”: evasione fiscale, ottimizzazione fiscale, paradisi fiscali e amnistie;
  • i piani di salvataggio delle banche da quando è esplosa la crisi;
  • il debito creato dal debito stesso, per l’effetto valanga creato dalla differenza tra il tasso d’interesse e i tassi di crescita del PIL, erosi dalle politiche di austerità e di disoccupazione.
L’audit apre la strada all’imposizione di uno scambio di titoli del debito che consentirebbe di annullarne gran parte. È la seconda rottura.
Ma i debiti sovrani sono anch’essi mescolati con il bilancio delle banche private. Per questo il piano di salvataggio di un paese è in generale un piano di salvataggio delle banche. È indispensabile una terza rottura rispetto all’ordinamento neoliberista, e questa passa per il controllo dei movimenti internazionali di capitali, il controllo del credito e la socializzazione delle banche. È l’unico modo razionale per districare il groviglio di debiti. In fondo, è la scelta decisa in Svezia negli anni ’90 (anche se poi le banche sono state riprivatizzate).
Riassumendo, l’apertura di una strada alternativa richiede un insieme coerente di tre rotture:
  • il finanziamento delle emissioni di debito sovrano, passato e futuro
  • l’annullamento del debito illegittimo
  • la socializzazione di banche per il controllo del credito.
Sono gli strumenti per una reale trasformazione sociale. Come muoversi in pratica?

Per un governo di sinistra
Queste tre grosse rotture, indispensabili per resistere al ricatto finanziario, non possono andare in porto se non con un governo di sinistra. Benché le condizioni sociali e politiche di una strategia di convergenza e di lotta per un governo del genere varino largamente da un paese all’altro, l’intera Europa si è concentrata nell’estate 2012 sull’eventualità che Syriza potesse vincere le elezioni e costituire l’asse di questo governo in Grecia. Da allora, Syriza porta avanti una campagna sui temi essenziali che sosteniamo nel presente Manifesto: un governo di sinistra costituisce una coalizione per denunciare il memorandum della Trojka e ristrutturare il debito, allo scopo di preservare i salari, le pensioni, i servizi pubblici della sanità e dell’istruzione e la sicurezza sociale.
Il nostro approccio è in sintonia con quello di Syriza: «Niente sacrifici per l’euro».

Uscire dall’euro non è una garanzia di rottura con l’“euro liberismo”
È evidente che un governo di sinistra che prenda simili misure deve essere deciso ad applicare un programma socialista e disporre di un largo sostegno popolare. E quest’ultimo si ottiene solo se stabilisce chiaramente come obiettivi prioritari la lotta contro gli interessi della finanza, la ricostruzione di un’economia di piena occupazione e la gestione collettiva dei beni comuni. Non si deve deviare da questa strategia: se lo scopo è l’annullamento del debito, non ci si deve allontanare da questo obiettivo.
La coerenza e la chiarezza politica sono le condizioni per vincere – e per meritare di vincere. La prima misura di un governo di sinistra deve perciò essere la lotta contro il debito e l’austerità.
Perché questa politica “contro” sia efficace, un governo di sinistra deve basarsi su un ampio sostegno popolare ed essere disposto a utilizzare tutti gli strumenti democratici necessari per far fronte alla pressione degli interessi finanziari, incluse misure di nazionalizzazione dei settori strategici, e a uno scontro diretto con il governo Merkel, la BCE e la CE. La battaglia per la difesa della democrazia e delle conquiste sociali va estesa a livello soprannazionale. Ma se la politica di Bruxelles vi si oppone, la battaglia si dovrà alla fine portare avanti nei quadri nazionali che già esistono. In questa battaglia non dovrebbero esservi tabù sull’euro e tutte le opzioni dovrebbero rimanere aperte, compresa quella dell’uscita se non vi è alcun’altra soluzione nel quadro europeo, o se le autorità europee vi costringessero un paese, Ma non dovrebbe essere questo il punto di partenza.
La implicazioni di un’uscita dall’eurozona per un governo di sinistra dovrebbero essere esplicitate. In primo luogo, essa non consentirebbe automaticamente di reinstaurare la sovranità democratica: certo, il finanziamento del debito pubblico sfuggirebbe al controllo dei mercati finanziari, ma questo potrebbe essere esercitato attraverso la speculazione contro la nuova/vecchia moneta di un paese che avesse un deficit estero.
D’altra parte, il gravame del debito non si ridurrebbe. Aumenterebbe, al contrario, in relazione al tasso di svalutazione, poiché il debito si esprime in euro. In questa situazione, il governo sarebbe indotto a convertire il debito pubblico nella nuova moneta, il che equivarrebbe a un parziale annullamento: rientra nei poteri di uno Stato assumere una decisione del genere, anche se andrebbe previsto un conflitto internazionale. Ma le imprese private e le banche non dispongono dello stesso potere sovrano e, di conseguenza il valore dei debiti privati e finanziari aumenterebbe nella moneta nazionale. In questo quadro, la nazionalizzazione delle banche sarebbe alla fine una necessità, semplicemente per evitare il fallimento dell’intero settore del credito, cosa che implicherebbe un ulteriore aumento del debito pubblico di fronte alla finanza internazionale.
Inoltre, la svalutazione della nuova moneta scatenerebbe un processo inflazionistico che porterebbe all’aumento dei tassi d’interesse e all’aggravarsi del peso del debito e delle disuguaglianze dei redditi.
Infine, l’uscita dall’euro viene in genere presentata come una strategia tendente a conquistare parti di mercato grazie a una svalutazione concorrenziale. Questo tipo d’approccio non rompe con la logica della concorrenza di tutti contro tutti e gira le spalle a una strategia di lotta europea comune contro l’austerità.
Nel complesso, lottando senza fare dell’uscita dall’euro e dall’UE un criterio aprioristico, un governo di sinistra potrebbe ampliare i suoi margini di manovra e rafforzare il suo potere di negoziare basandosi sul probabile estendersi delle resistenze ad altri paesi dell’UE. Si tratta dunque di una strategia progressista e internazionalista, contrapposta a una strategia isolazionistica e nazionale.

Per una strategia di rottura ed estensione unilaterale
Le strategie progressiste si contrappongono al progetto neoliberista di concorrenza generalizzata.
Esse sono fondamentalmente cooperative e funzioneranno tanto meglio se si estenderanno al maggior numero di paesi. Ad esempio, se tutti i paesi europei riducessero l’orario di lavoro e istituissero un’imposta uniforme sui redditi da capitale, un simile collaborazione consentirebbe di evitare le conseguenze che si subirebbero se ci si limitasse a un solo paese. Per aprire questa strada di collaborazione, un governo di sinistra dovrebbe seguire una strategia unilaterale:
  • Le “buone” misure vengono attuate unilateralmente, ad esempio il rifiuto dell’austerità o la tassazione delle transazioni finanziarie.
  • Esse vengono accompagnate da misure protezioniste, ad esempio il controllo dei capitali.
  • L’avvio a livello nazionale di politiche in contrasto con le regole europee rappresenta un rischio politico di cui va tenuto conto. La risposta sta in una logica di estensione, perché queste misure – ad esempio il rilancio del bilancio o la tassa sulle transazioni finanziarie – vengano adottate da altri Stati membri.
  • Tuttavia, lo scontro politico con l’UE e con le classi dirigenti di altri Stati europei, soprattutto il governo tedesco, è inevitabile e la minaccia di uscita dall’euro non va esclusa a priori dalle possibili opzioni.
Questo schema strategico ammette che la rifondazione dell’Europa non può essere una condizione preliminare all’attuazione di una politica alternativa. Le eventuali misure di ritorsione contro un governo di sinistra vanno neutralizzate con contromisure, che effettivamente implicano il ricorso a dispositivi protezionistici. Ma l’orientamento non è protezionista nella comune accezione del termine, in quanto si protegge un processo di trasformazione sociale portato avanti dal popolo e non si proteggono gli interessi dei capitali nazionali nella loro concorrenza con altri capitali.
Si tratta, dunque, di un “protezionismo d’estensione”, chiamato a scomparire una volta generalizzate attraverso l’Europa le misure sociali per l’occupazione e contro l’austerità.
La rottura con le regole dell’UE non poggia su una petizione di principio, ma sulla legittimità di misure giuste ed efficaci, corrispondenti agli interessi della maggioranza e che vengono del pari proposte ai paesi vicini. Un simile orientamento strategico può allora essere rafforzato dalla mobilitazione sociale negli altri paesi e sorreggersi quindi su un rapporto di forza in grado di rimettere in discussione le istituzioni dell’EU. La recente esperienza dei piani di salvataggio neoliberisti messi in atto dalla BCE e dalla Commissione europea dimostra come sia assolutamente possibile aggirare un certo numero di disposizioni dei trattati dell’UE, e come le autorità europee non abbiano esitato a farlo, e in peggio. Per questo rivendichiamo il diritto di prendere misure che vadano nel senso buono, inclusa l’introduzione di un controllo dei capitali e di tutti i dispositivi che consentano di salvaguardare i salari e le pensioni. In questo schema, l’uscita dall’euro, ancora una volta, è una minaccia o un’arma di ultima istanza.
Questa strategia si basa sulla legittimità di soluzioni progressiste derivanti dal loro carattere di classe. Si tratta di una strategia collaborativa di rottura con il quadro attuale dell’UE, in nome di un altro modello di sviluppo basato su una nuova architettura per l’Europa: un bilancio europeo allargato, alimentato da una comune tassa sul capitale, che finanzi fondi di armonizzazione e investimenti socialmente ed ecologicamente utili. Non ci aspettiamo però che un cambiamento simile avvenga da solo, e poniamo all’ordine del giorno la lotta immediata contro il debito e contro l’austerità, per giuste misure di difesa dei salari e delle pensioni, della protezione sociale e dei pubblici servizi. È questo il nostro orientamento strategico per un governo di sinistra.

Primi firmatari:

Daniel Albarracín, Nacho Álvarez, Bibiana Medialdea (Stato spagnolo)
Francisco Louçã, Mariana Mortagua (Portogallo)
Stavros Tombazos (Cipro)
Giorgos Galanis, Özlem Onaran (Gran Bretagna)
Michel Husson (Francia)

Nuovi firmatari

Stato spagnolo: Manolo Garí, Antonio Sanabria, Jorge Fonseca, Teresa Pérez del Río, Lidia Rekagorri Villar (Euskal Herria)
Francia: Gilles Orzoni, Jacques Rigaudiat, Philippe Zarifian, Gilles Raveaud, Jacques Cossart, Nicolas Béniès, Marc Bousseyrol, Mathieu Montalban, Samy Johsua, Catherine Samary, Dany Lang, Bruno Théret, Claude Calame, Jean-Marie Harribey, Ozgur Gun, Patrick Saurin, Antoine Math, Pierre Khalfa, Eric Toussaint, Marc Mangenot, Jean Gadrey, Mireille Bruyère, Henri Philipson, Pierre Bitoun, Patrick Saurin, Pierre Khalfa, Bernard Guibert, Robert Kissous, Guillaume Etievant, Jean-Marie Roux, Jakes Bortayrou (Paese Basco), Thomas Coutrot, Philippe Légé, Olivier Lorillu, Boris Bilia, Christiane Marty

Pagina web: http://tinyurl.com/euro13
Traduzione di Titti Pierini

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