Il 14 novembre sarà una giornata di sciopero generale, per tutte le categorie pubbliche e private.
Questa scadenza, proclamata dalla gran parte del sindacalismo di base e
autoorganizzato, è stata accolta da molte realtà sociali di lotta
(collettivi studenteschi, centri sociali, reti di lavoratori ecc);
l'obiettivo è quello di rendere questo appuntamento quanto più
generalizzato e ampio possibile, proseguendo il percorso di sciopero
sociale europeo portato avanti già da anni.
Lo sciopero è stato
indetto contro le politiche di massacro sociale del Governo Renzi, che
-in perfetta continuità con i suoi predecessori- sta portando avanti un
attacco feroce alle condizioni di vita delle persone: da un lato il
taglio secco ai servizi sociali, dall'altro l'aumento della
precarizzazione del lavoro tramite lo Jobs Act.
Anche la scuola pubblica è sotto tiro, con l'intento di trasformarla definitivamente in scuola-azienda.
A questo si aggiungono il famigerato "Piano Casa", che preclude la
possibilità di ottenere la residenza e gli allacciamenti alle utenze a
chi occupa una casa per non dover vivere in strada, il sostegno alle
grandi opere inutili (TAV su tutte) e il continuo sperpero di soldi
pubblici per le spese militari (F35, guerre...).
Queste politiche si
inseriscono all'interno delle direttive europee di austerità che da
anni stanno massacrando i ceti popolari.
Chi cerca di contrastare
tutto ciò e osa alzare la testa trova davanti a sè sempre più
frequentemente la repressione: multe, manganellate, denunce e arresti.
A tutto questo occorre opporre una campagna di lotta che rivendichi:
-il diritto alla casa, al reddito, a servizi sociali pubblici, gratuiti e di qualità a partire dalla sanità
-una scuola veramente pubblica e laica
-il diritto di sciopero e le libertà sindacali
Per questi e mille altri motivi è molto importante che la giornata del 14 sia partecipata e condivisa da molti/e.
h.8.30 presidio informativo in largo barriera
h.9.00 CORTEO unitario da piazza Goldoni
ASSEMBLEA CITTADINA PER LO SCIOPERO GENERALE E SOCIALE
Aderiscono (lista in continuo aggiornamento):
COBAS FVG
Unione Sindacale Italiana USI-AIT (Fed.provinciale)
Unione Sindacale di Base USB (Fed.provinciale)
Coordinamento Studenti Medi
Unione Degli Studenti Fvg (Trieste, Monfalcone, Gorizia e Grado)
Casa Delle Culture
ASC Trieste - Assemblea Sociale per la Casa Trieste
Sinistra Anticapitalista Trieste
Collettivo Oberdank
Anarchici e anarchiche per lo sciopero generale
Il Sindacato è un'altra cosa-opposizione Cgil Fvg
Partito della Rifondazione Comunista Trieste
L'Altra Europa con Tsipras Trieste
Collettivo UP-Attivismo Critico
Arci provinciale Trieste
Partito dei Comunisti Italiani
Lista Di Sinistra
https://www.facebook.com/events/423905901090291/
giovedì 13 novembre 2014
mercoledì 5 novembre 2014
Governo Renzi: ai padroni regali, ai lavoratori manganellate!
Nelle scorse settimane la distanza tra il PD e i lavoratori e le lavoratrici italiani è stata sancita dall'immagine di Renzi sul palco della Leopolda circondato da imprenditori e finanzieri che lo osannano e chiedono di limitare il diritto di sciopero, proprio mentre contemporaneamente a Roma un milione di lavoratori manifestava contro le politiche del governo.
E se il messaggio non fosse stato sufficientemente chiaro sono pure arrivate le manganellate agli operai delle acciaierie di Terni in lotta per difendere il posto di lavoro.
Ma è anche la concretezza dei provvedimenti presentati dal governo Renzi in parlamento a parlare altrettanto chiaro: il Jobs Act e la legge di stabilità costituiscono nel loro insieme il più grave attacco ai diritti e alle tasche dei lavoratori da molti anni a questa parte.
Il Jobs Act nei suoi assi fondamentali cancella quello che resta dell’articolo 18, aumenta a dismisura il carattere repressivo del rapporto di lavoro permettendo il demansionamento (la riduzione del livello contrattuale) e la sorveglianza con telecamere o altri mezzi tecnologici, elimina la cassa integrazione straordinaria che in questo periodo di crisi ha permesso a moltissime famiglie di tirare avanti. Solo l’incredibile servilismo dei principali mezzi d’informazione consente a Renzi di affermare che il Jobs Act permetterà di ridurre la disoccupazione giovanile. Basterebbe un po’ di onestà intellettuale per smentirlo ricordando che riducendo i diritti dei lavoratori non si creano posti di lavoro, anzi: a lavoratori precari e ricattabili vengono imposti orari più lunghi e intensità produttive più alte, riducendo quindi la necessità di assumere altro personale.
La legge di stabilità regala 8 miliardi di euro agli imprenditori tra decontribuzione per i neoassunti e riduzione dell’IRAP. Soldi che verranno presi dalle tasche dei lavoratori tramite il taglio della spesa dei ministeri (2 miliardi in meno alla sanità, 800 milioni alla scuola, ecc...) ma sopratutto tramite il tagli dei trasferimenti a regioni e comuni che dovranno così aumentare le tasse locali o tagliare i servizi. In questo modo anche gli 80€ in più in busta paga, tanto sbandierati da Renzi, vengono elargiti con la mano destra e tolti con quella sinistra. Ancora una volta il governo per “far ripartire l’economia” toglie i soldi ai lavoratori dipendenti (che sono praticamente gli unici a pagare le tasse in questo paese) per darli agli imprenditori che dovrebbero investirli per creare nuova occupazione. Si tratta di una favola a cui non crede più nessuno. Le imprese italiane sono tra quelle che investono di meno in Europa, e del precedente consistente taglio dell’IRAP (quello del governo Prodi) solo il 10% è stato reinvestito dalle imprese nella produzione: tutto il resto è andato in speculazione finanziaria, dividendi per gli azionisti, beni di lusso per gli imprenditori.
È GIÀ ORA DI ROTTAMARE RENZI E IL SUO GOVERNO PADRONALE!
La massiccia partecipazione alle mobilitazioni di questi giorni proclamate da organizzazioni studentesche, sindacati di base e CGIL indicano che la misura è colma e la pazienza finita.
Unifichiamo le scadenze di lotta a partire dal Social Strike del 14 novembre e dallo sciopero FIOM !
Costruiamo uno SCIOPERO GENERALE VERO, in grado cioè di bloccare il paese!
Basta con le mobilitazioni proclamate dalle burocrazie sindacali solo per far sfogare la rabbia dei lavoratori. Questa volta bisogna lottare fino in fondo e respingere le misure del governo!
Ma è anche la concretezza dei provvedimenti presentati dal governo Renzi in parlamento a parlare altrettanto chiaro: il Jobs Act e la legge di stabilità costituiscono nel loro insieme il più grave attacco ai diritti e alle tasche dei lavoratori da molti anni a questa parte.
Il Jobs Act nei suoi assi fondamentali cancella quello che resta dell’articolo 18, aumenta a dismisura il carattere repressivo del rapporto di lavoro permettendo il demansionamento (la riduzione del livello contrattuale) e la sorveglianza con telecamere o altri mezzi tecnologici, elimina la cassa integrazione straordinaria che in questo periodo di crisi ha permesso a moltissime famiglie di tirare avanti. Solo l’incredibile servilismo dei principali mezzi d’informazione consente a Renzi di affermare che il Jobs Act permetterà di ridurre la disoccupazione giovanile. Basterebbe un po’ di onestà intellettuale per smentirlo ricordando che riducendo i diritti dei lavoratori non si creano posti di lavoro, anzi: a lavoratori precari e ricattabili vengono imposti orari più lunghi e intensità produttive più alte, riducendo quindi la necessità di assumere altro personale.
La legge di stabilità regala 8 miliardi di euro agli imprenditori tra decontribuzione per i neoassunti e riduzione dell’IRAP. Soldi che verranno presi dalle tasche dei lavoratori tramite il taglio della spesa dei ministeri (2 miliardi in meno alla sanità, 800 milioni alla scuola, ecc...) ma sopratutto tramite il tagli dei trasferimenti a regioni e comuni che dovranno così aumentare le tasse locali o tagliare i servizi. In questo modo anche gli 80€ in più in busta paga, tanto sbandierati da Renzi, vengono elargiti con la mano destra e tolti con quella sinistra. Ancora una volta il governo per “far ripartire l’economia” toglie i soldi ai lavoratori dipendenti (che sono praticamente gli unici a pagare le tasse in questo paese) per darli agli imprenditori che dovrebbero investirli per creare nuova occupazione. Si tratta di una favola a cui non crede più nessuno. Le imprese italiane sono tra quelle che investono di meno in Europa, e del precedente consistente taglio dell’IRAP (quello del governo Prodi) solo il 10% è stato reinvestito dalle imprese nella produzione: tutto il resto è andato in speculazione finanziaria, dividendi per gli azionisti, beni di lusso per gli imprenditori.
È GIÀ ORA DI ROTTAMARE RENZI E IL SUO GOVERNO PADRONALE!
La massiccia partecipazione alle mobilitazioni di questi giorni proclamate da organizzazioni studentesche, sindacati di base e CGIL indicano che la misura è colma e la pazienza finita.
Unifichiamo le scadenze di lotta a partire dal Social Strike del 14 novembre e dallo sciopero FIOM !
Costruiamo uno SCIOPERO GENERALE VERO, in grado cioè di bloccare il paese!
Basta con le mobilitazioni proclamate dalle burocrazie sindacali solo per far sfogare la rabbia dei lavoratori. Questa volta bisogna lottare fino in fondo e respingere le misure del governo!
mercoledì 1 ottobre 2014
Costruire percorsi unitari di lotta
Il Coordinamento Nazionale di Sinistra Anticapitalista nella sua riunione del 25 settembre ha discusso ed approvato un documento che sintetizza il quadro sociale e politico dello scontro di classe nel nostro paese, definendo alcune proposte politiche e l’impegno dell’organizzazione per una mobilitazione ampia, unitaria e generale nella battaglia di autunno che si è aperta.
Documento del Coordinamento nazionale di Sinistra Anticapitalista
Bellaria, 25 settembre 2014
Costruire percorsi unitari di lotta
Sommario
1. La dimensione della crisi sociale
2. Natura e scelte del governo Renzi
3. L’autunno come nuova fase dell’austerità
4. Il punto più basso del sindacato
5. La crisi permanente della sinistra, le contraddizioni del grillismo
6. La dialettica tra ricomposizione politica e ricomposizione sociale e la proposta di Sinistra Anticapitalista
7. La battaglia dell’autunno per una mobilitazione generale
8. La nostra azione sul piano internazionale
9. Sinistra Anticapitalista
Documento del Coordinamento nazionale di Sinistra Anticapitalista
Bellaria, 25 settembre 2014
Costruire percorsi unitari di lotta
Sommario
1. La dimensione della crisi sociale
2. Natura e scelte del governo Renzi
3. L’autunno come nuova fase dell’austerità
4. Il punto più basso del sindacato
5. La crisi permanente della sinistra, le contraddizioni del grillismo
6. La dialettica tra ricomposizione politica e ricomposizione sociale e la proposta di Sinistra Anticapitalista
7. La battaglia dell’autunno per una mobilitazione generale
8. La nostra azione sul piano internazionale
9. Sinistra Anticapitalista
giovedì 25 settembre 2014
Slovenia, novità a sinistra
Alle recenti elezioni, la crisi economica e le ricette della BCE
sembrano far svoltare a sinistra la piccola Repubblica orientale e ciò
rappresenta un esempio ed una piccola speranza per chi in Europa vuole
costruire una alternativa anticapitalista alla crisi.
Infatti, se il vincitore indiscusso, con il 34,6% dei voti, è un finora oscuro avvocato del Parlamento, Miro Cerar, leader di un partito confezionato su misura, il SMC (Stranka Mira Cerarja – Partito di Miro Cerar) tirato su in fretta e furia negli ultimi 2 mesi e dal programma fumoso, la vera sorpresa di queste elezioni è la affermazione al 6% del partito Združena Levica (ZL – Sinistra Unita) dalle chiare posizioni anticapitaliste e di opposizione alle politiche della Trojka.
Una sorpresa annunciata, come vedremo più avanti, ma che adesso non può essere più trascurata da nessuno.
Rifacendosi da capo, diremo che il successo elettorale di Cerar si è costruito intono al mito a noi noto del “rottamatore” della vecchia politica, favorito dalle politiche antipopolari della precedente Premier (Alenka Bratušek) e dal cosiddetto “effetto Dob”, dove Dob è il nome del carcere nel quale da circa un mese è rinchiuso per corruzione uno dei maggiori protagonisti della politica slovena di questi anni, Janez Janša.
Fu proprio sotto la reggenza di Janša che alla fine del 2012 esplose un movimento di protesta che scosse profondamente la Slovenia. Il movimento si generò a partire da casi di corruzione o di mala politica per poi estendersi ad una critica più radicale delle politiche liberiste. In quell’occasione il governo Janša fu costretto a dare le dimissioni ed a cedere il passo alla nuova premier Alenka Bratušek. Il partito di questa ignota funzionaria - Slovenia Positiva - godeva però del supporto dell’Unione Europea e delle banche, per imporre l’austerità ed i piani strutturali a base di liberalizzazioni e privatizzazioni, con un copione simile a quello che in Italia abbiamo conosciuto con il Governo Monti. Il debito, si faceva intendere, è dovuto ad una classe di politici corrotti: una retta e buona conduzione della economia e la attuazione di ciò che vuole l’Europa rimetteranno in sesto le sorti della Slovenia.
La Bratušek varava quindi un piano di massicce privatizzazioni che – a
suo dire – avrebbero risollevato le sorti della economia slovena.
Il governo Bratušek non teneva però alla prova dei fatti: nel 2013 la economia non si solleva realmente, i consumi interni si riducono ed aumentano parallelamente i contrasti interni alle classi dominanti slovene.
Il primo test elettorale di quest’anno, le elezioni europee, iniziano a mandare in crisi il quadro politico sloveno. In queste elezioni poco partecipate (28%), a testimonianza di una sfiducia od ostilità crescente verso l’Unione Europea, il partito della Bratušek raggranella solo il 6,6% dei voti, una punizione dell’elettorato a cui non si sottraggono nemmeno i Socialdemocratici, mentre l’SDS – il partito di centrodestra di Janša, al tempo già indagato – rimane il primo partito della Slovenia con quasi il 25% dei voti. Subito dopo le elezioni europee, Slovenia Positiva si spacca e – mancando la fiducia al governo – la Slovenia va verso le elezioni anticipate del 13 Luglio.
Nei mesi precedenti alle elezioni europee, viene fondato il partito IDS (Iniciativa za demokraticni socializem – Iniziativa per un socialismo democratico, di ispirazione marxista radicale) e di seguito viene fondata la coalizione elettorale Združena Levica insieme a due altri partiti, il TRS (ecosocialisti) ed il DLD (laburisti), oltre che a personalità indipendenti ed rappresentanti del sindacato più combattivo, il SVIZ (funzione pubblica e cultura).
La Združena Levica può inoltre, a ragione, essere considerata la Lista Tsipras slovena, visto che l’esponente greco è stato presente al suo battesimo pubblico, il 1° marzo a Ljubljana.
I risultati elettorali europei di ZL sono più che lusinghieri,
ottenendo il 5,47% dei voti, pur non raggiungendo il quorum per un
rappresentante a Strasburgo. I commentatori politici naturalmente
snobbano tale lista e ne nascondono la portata evidentemente per
tamponare l’ondata di antieuropeismo crescente
La Slovenia arriva quindi alle elezioni politiche del 13 luglio con un governo sfiduciato, una premier costretta anch’essa a costruirsi un partito su misura, il ZaAB (Za Alenka Bratušek – Per Alenka Bratušek), il leader del primo partito sloveno che conduce la sua campagna elettorale dal carcere, una situazione sociale che tende a peggiorare, con i minatori in sciopero nella zona mineraria di Trbovlje.
L’elettorato, un po’ più presente al voto (50%) ma comunque stanco e disilluso, si gioca la carta nuova, ovvero vota in maggioranza la “persona onesta” Cerar in contrapposizione al partito di JANŠA, il quale comunque dimostra una discreta tenuta (20,7%), con una campagna all’insegna della denuncia del complotto e delle “toghe rosse”. La lista personale della ex premier Alenka Bratušek con il 3,4% supera di qualche decimale il quorum, al contrario del suo ex partito – Slovenia Positiva – che rimane fuori dal Parlamento: uno smacco per chi si presentava come il referente dell’Europa in Slovenia e vantava il 28% di preferenze nel 2011.
Vento di crisi pure tra i socialdemocratici che racimolano un (per loro) magro 6% (10% nel 2011), nonostante il restyling rappresentato dalla alleanza con Solidarnost, una delle correnti venute fuori dalle proteste del 2012.
In questo contesto appare molto importante il risultato della lista Združena Levica (Sinistra Unita) che ottenendo il 5,97% dei voti e 6 deputati si afferma come la vera novità del momento. In una Slovenia dove i partiti – anche grandi- appaiono e scompaiono come stelle comete, ZL sembra rappresentare un elemento di continuità e solidità, aumentando i voti sia in percentuale che in assoluto. Un risultato dovuto a nostro parere per la alternatività e chiarezza del proprio programma
La importanza di questo successo non consiste tanto nel fatto che un partito di sinistra si affermi in un paese dell’Est, ma che esso si affermi con un programma dichiaratamente anticapitalista, di opposizione alle ricette della Troika, alle politiche di austerità ed al programma di privatizzazioni che la Bratušek aveva iniziato.
La campagna elettorale di ZL è stata condotta con una spesa di poche migliaia di euro ma si è concentrata su alcuni punti nodali per la società slovena: il sostegno ai lavoratori, con la presenza costante tra i minatori di Trbovlje, e l’opposizione alle privatizzazioni.
Le/i compagne/i del Friuli Venezia Giulia di Sinistra Anticapitalista hanno mantenuto frequenti contatti con le/i compagne/i dell’IDS, apprezzandone le loro capacità organizzative, ma soprattutto la profondità dei loro contenuti teorici, che esporremo in un successivo articolo. La loro fiducia nella possibilità di poter cambiare le politiche europee dall’interno delle stesse istituzioni della Unione Europea, posizione condivisa con il GUE, gruppo a cui ZL fa riferimento, sembra l’unica dissonanza con le nostre posizioni.
Dissonanza che può sembrare decisiva solo a chi guarda la realtà in maniera rigida e statica e non nella sua dialettica, nel suo movimento.
In Slovenia si è dimostrato che una forza anticapitalista dispone di uno spazio per rispondere alla crisi ed al contempo per sfruttare le contraddizioni interne alle elites dominanti. Uno spazio, tra l’altro, apertosi in un paese dell’Est, dove – secondo molti in Italia – dovrebbe esserci terra bruciata per le idee socialiste.
La collaborazione internazionale fra forze anticapitaliste, sia attraverso il confronto teorico che tramite l’organizzazione di mobilitazioni su scala europea, potrebbe aiutare ad espandere questa esperienza anche ad altri paesi.
Per ulteriori informazioni su IDS clicca qui.
Infatti, se il vincitore indiscusso, con il 34,6% dei voti, è un finora oscuro avvocato del Parlamento, Miro Cerar, leader di un partito confezionato su misura, il SMC (Stranka Mira Cerarja – Partito di Miro Cerar) tirato su in fretta e furia negli ultimi 2 mesi e dal programma fumoso, la vera sorpresa di queste elezioni è la affermazione al 6% del partito Združena Levica (ZL – Sinistra Unita) dalle chiare posizioni anticapitaliste e di opposizione alle politiche della Trojka.
Una sorpresa annunciata, come vedremo più avanti, ma che adesso non può essere più trascurata da nessuno.
Rifacendosi da capo, diremo che il successo elettorale di Cerar si è costruito intono al mito a noi noto del “rottamatore” della vecchia politica, favorito dalle politiche antipopolari della precedente Premier (Alenka Bratušek) e dal cosiddetto “effetto Dob”, dove Dob è il nome del carcere nel quale da circa un mese è rinchiuso per corruzione uno dei maggiori protagonisti della politica slovena di questi anni, Janez Janša.
Fu proprio sotto la reggenza di Janša che alla fine del 2012 esplose un movimento di protesta che scosse profondamente la Slovenia. Il movimento si generò a partire da casi di corruzione o di mala politica per poi estendersi ad una critica più radicale delle politiche liberiste. In quell’occasione il governo Janša fu costretto a dare le dimissioni ed a cedere il passo alla nuova premier Alenka Bratušek. Il partito di questa ignota funzionaria - Slovenia Positiva - godeva però del supporto dell’Unione Europea e delle banche, per imporre l’austerità ed i piani strutturali a base di liberalizzazioni e privatizzazioni, con un copione simile a quello che in Italia abbiamo conosciuto con il Governo Monti. Il debito, si faceva intendere, è dovuto ad una classe di politici corrotti: una retta e buona conduzione della economia e la attuazione di ciò che vuole l’Europa rimetteranno in sesto le sorti della Slovenia.
Figura 1. Le privatizzazioni in Slovenia secondo il Wall Street Journal (allo schema va aggiunta la importantissima catena di distribuzione Mercator) |
Il governo Bratušek non teneva però alla prova dei fatti: nel 2013 la economia non si solleva realmente, i consumi interni si riducono ed aumentano parallelamente i contrasti interni alle classi dominanti slovene.
Il primo test elettorale di quest’anno, le elezioni europee, iniziano a mandare in crisi il quadro politico sloveno. In queste elezioni poco partecipate (28%), a testimonianza di una sfiducia od ostilità crescente verso l’Unione Europea, il partito della Bratušek raggranella solo il 6,6% dei voti, una punizione dell’elettorato a cui non si sottraggono nemmeno i Socialdemocratici, mentre l’SDS – il partito di centrodestra di Janša, al tempo già indagato – rimane il primo partito della Slovenia con quasi il 25% dei voti. Subito dopo le elezioni europee, Slovenia Positiva si spacca e – mancando la fiducia al governo – la Slovenia va verso le elezioni anticipate del 13 Luglio.
Nei mesi precedenti alle elezioni europee, viene fondato il partito IDS (Iniciativa za demokraticni socializem – Iniziativa per un socialismo democratico, di ispirazione marxista radicale) e di seguito viene fondata la coalizione elettorale Združena Levica insieme a due altri partiti, il TRS (ecosocialisti) ed il DLD (laburisti), oltre che a personalità indipendenti ed rappresentanti del sindacato più combattivo, il SVIZ (funzione pubblica e cultura).
La Združena Levica può inoltre, a ragione, essere considerata la Lista Tsipras slovena, visto che l’esponente greco è stato presente al suo battesimo pubblico, il 1° marzo a Ljubljana.
Figura 2 Un esempio di disinformazione: spesso i risultati europei della Slovenia sono stati forniti con la voce “altri partiti”, nascondendo un partito – ZL – con il 5,47% di voti |
La Slovenia arriva quindi alle elezioni politiche del 13 luglio con un governo sfiduciato, una premier costretta anch’essa a costruirsi un partito su misura, il ZaAB (Za Alenka Bratušek – Per Alenka Bratušek), il leader del primo partito sloveno che conduce la sua campagna elettorale dal carcere, una situazione sociale che tende a peggiorare, con i minatori in sciopero nella zona mineraria di Trbovlje.
L’elettorato, un po’ più presente al voto (50%) ma comunque stanco e disilluso, si gioca la carta nuova, ovvero vota in maggioranza la “persona onesta” Cerar in contrapposizione al partito di JANŠA, il quale comunque dimostra una discreta tenuta (20,7%), con una campagna all’insegna della denuncia del complotto e delle “toghe rosse”. La lista personale della ex premier Alenka Bratušek con il 3,4% supera di qualche decimale il quorum, al contrario del suo ex partito – Slovenia Positiva – che rimane fuori dal Parlamento: uno smacco per chi si presentava come il referente dell’Europa in Slovenia e vantava il 28% di preferenze nel 2011.
Vento di crisi pure tra i socialdemocratici che racimolano un (per loro) magro 6% (10% nel 2011), nonostante il restyling rappresentato dalla alleanza con Solidarnost, una delle correnti venute fuori dalle proteste del 2012.
In questo contesto appare molto importante il risultato della lista Združena Levica (Sinistra Unita) che ottenendo il 5,97% dei voti e 6 deputati si afferma come la vera novità del momento. In una Slovenia dove i partiti – anche grandi- appaiono e scompaiono come stelle comete, ZL sembra rappresentare un elemento di continuità e solidità, aumentando i voti sia in percentuale che in assoluto. Un risultato dovuto a nostro parere per la alternatività e chiarezza del proprio programma
La importanza di questo successo non consiste tanto nel fatto che un partito di sinistra si affermi in un paese dell’Est, ma che esso si affermi con un programma dichiaratamente anticapitalista, di opposizione alle ricette della Troika, alle politiche di austerità ed al programma di privatizzazioni che la Bratušek aveva iniziato.
La campagna elettorale di ZL è stata condotta con una spesa di poche migliaia di euro ma si è concentrata su alcuni punti nodali per la società slovena: il sostegno ai lavoratori, con la presenza costante tra i minatori di Trbovlje, e l’opposizione alle privatizzazioni.
Le/i compagne/i del Friuli Venezia Giulia di Sinistra Anticapitalista hanno mantenuto frequenti contatti con le/i compagne/i dell’IDS, apprezzandone le loro capacità organizzative, ma soprattutto la profondità dei loro contenuti teorici, che esporremo in un successivo articolo. La loro fiducia nella possibilità di poter cambiare le politiche europee dall’interno delle stesse istituzioni della Unione Europea, posizione condivisa con il GUE, gruppo a cui ZL fa riferimento, sembra l’unica dissonanza con le nostre posizioni.
Dissonanza che può sembrare decisiva solo a chi guarda la realtà in maniera rigida e statica e non nella sua dialettica, nel suo movimento.
In Slovenia si è dimostrato che una forza anticapitalista dispone di uno spazio per rispondere alla crisi ed al contempo per sfruttare le contraddizioni interne alle elites dominanti. Uno spazio, tra l’altro, apertosi in un paese dell’Est, dove – secondo molti in Italia – dovrebbe esserci terra bruciata per le idee socialiste.
La collaborazione internazionale fra forze anticapitaliste, sia attraverso il confronto teorico che tramite l’organizzazione di mobilitazioni su scala europea, potrebbe aiutare ad espandere questa esperienza anche ad altri paesi.
Per ulteriori informazioni su IDS clicca qui.
venerdì 21 marzo 2014
L'impossibile capitalismo verde e i perché dell'Ecosocialismo
ne discuteremo con Fabrizio Valli del gruppo nazionale ambiente di Sinistra Anticapitalista venerdì 4 aprile:
alle 17:30 presso la sala di via Fabio Severo 14/b a Trieste
alle 20:30 presso Laboratorio Resistente via Roma 20 Monfalcone
Quando nel nostro paese si affronta il tema di una possibile, diversa gestione del rapporto tra sistema produttivo, bisogni del genere umano e ambiente - "alternativa" rispetto alle politiche di sfruttamento selvaggio e indiscriminato delle risorse naturali a fini di mero profitto operate dal sistema neoliberista - a dominare la scena sono indubbiamente le teorie (e pratiche ?) della "green economy" e della cosidetta "decrescita felice". Non molto si parla invece di quell' Ecosocialismo che rappresenta invece una vivace realtà teorica e di movimento in altri Paesi europei quali la Francia e la Spagna, nonché nei paesi dell'America Latina, e che vale la pena di approfondire...
«L’attuale sistema capitalistico non è in grado di regolare, né tanto meno superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema promosso a partire dalla massima “crescere o morire!”.
In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere cambiato in maniera sostanziale – meglio ancora, rimpiazzato – se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto.» (estratto dal MANIFESTO ECOSOCIALISTA di Michael Löwy e Joel Kovel)
venerdì 14 febbraio 2014
TRATTATI EUROPEI: chi decide?
riceviamo e volentieri pubblichiamo:
TRATTATI EUROPEI: chi decide?
Dibattito con
Franco RUSSO
della Associazione nazionale ROSS@
Boštjan REMIC
di Iniziativa per un socialismo democratico
(Slovenia)
Un esponente di “Il sindacato è
un’altra cosa” – opposizione CGIL
Giovedì 20/2/14 Ore 17.30 Saletta di
via Fabio SEVERO 14/b
Negli
ultimi anni, le politiche di austerità, di attacco ai diritti sociali ed ai
diritti del lavoro, sono stati diretta emanazione delle scelte e delle politiche
neoliberiste che l’Unione Europea ha voluto sviluppare ed imporre a tutti i
singoli stati dell’unione.
Queste
politiche, condotte per il dichiarato fine di ridurre il debito pubblico, lo
hanno paradossalmente aggravato, riducendo inoltre alla miseria strati sempre
più grandi di popolazione.
Nonostante ciò, l’Unione Europea persevera in tali politiche e nei
suoi atteggiamenti autoritari verso i singoli stati, tentando di controllare e
comprimere la parte sociale della spesa pubblica, e continuando a premiare e
favorire banche e padroni, ovvero i capitani che hanno condotto la nave al
naufragio.
Le
istituzioni dell’Unione, istituzioni perlomeno ademocratiche perché mai elette
direttamente dal popolo, sono i protagonisti di queste condotte; le leggi ed i
trattati, come ad esempio il Fiscal Compact, il MES, l’Europack ne sono invece
gli strumenti, che controllano come dei cani da guardia le politiche sociali e
del lavoro dei singoli stati.
A
pochi mesi dalle elezioni europee, è lecito chiedersi chi realmente decida oggi
in Europa, se la volontà popolare o gli interessi del capitale e delle banche,
supportate dai tecnocrati di Bruxelles.
Ed è
impellente inoltre una risposta popolare, di massa ed internazionale che
contrasti le politiche della Troika, della BCE e dell’Unione Europea,
chiedendo un Referendum su Fiscal Compact e
MES
e
iniziando a preparare la
manifestazione
internazionale a Roma del 12 Aprile,
in
concomitanza ed in protesta con il Meeting Europeo per l’occupazione
giovanile.
martedì 28 gennaio 2014
ELECTROLUX: Il lavoro cattivo scaccia quello buono. Allora cacciamo i padroni
di Franco Turigliatto
Nei
corsi di economia sulla moneta i professori insegnano un principio
semplice, ma fondamentale: la moneta cattiva scaccia quella buona dalla
circolazione.
Che
cosa significa? Significa che se in un dato paese e una economia
esistono due monete correnti e una di questa, per determinate cause,
comincia a deprezzarsi, quella di maggior valore e stabile scompare
dalla circolazione, lasciando in campo soltanto la seconda che tenderà a
svalutarsi sempre di più. La prima infatti viene tesaurizzata, cioè,
cittadini e operatori economici, la ritirano dalla circolazione e la
mettono in cassaforte come un tesoro per preservarne il valore e
garantirsi una riserva economica e monetaria.
La
stessa cosa succede al lavoro, quello di cattiva qualità, in mancanza
di costrizioni normative e di rapporti di forza tra le classi favorevoli
ai lavoratori, in un contesto di libera concorrenza capitalista (libere
volpi in liberi pollai) tende a scacciare il lavoro buono, meglio
retribuito e tutelato.
Ormai
più di vent’anni fa dissero che era necessario favorire l’inserimento
dei giovani al lavoro, che occorreva combattere il lavoro nero e che
quindi bisognava introdurre forme più flessibili di contratto tali da
spingere i padroni ad assumere regolarmente in queste nuove forme per
loro più vantaggiose: vennero dapprima i contratti di formazione e
lavoro, poi arrivò il pacchetto Treu col governo Prodi 1, poi la legge
30 e il decreto applicativo 276 con il governo Berlusconi 2 che
portarono i contratti atipici e precari al numero di 43, sempre per
“favorire l’occupazione e ridurre il lavoro nero”. Il risultato è
davanti agli occhi di tutti: la disoccupazione è al 12,8%, quella
giovanile al 40%; il lavoro nero esiste come e quanto prima; si è via
via ridotto il lavoro buono, quello a tempo indeterminato, quello difeso
dai contratti nazionali di lavoro.
“Ma la concorrenza”, ci dicono, “è un principio naturale, perché limitarla?” E “Perché non ridurre salari e stipendi del 25%”
come è nelle necessità e nel progetto dei padroni europei e delle
istituzioni. Così, tanto per cominciare, da venti anni gli aumenti
salariali sono stati contenuti al di sotto dell’inflazione, poi nel
pubblico impiego si sono bloccati gli stipendi. Ora che si è formato un
enorme esercito di riserva, di senza lavoro, che preme sugli occupati il
discorso diventa un semplice ricatto: “non vuoi accettare una riduzione di salario, allora io fuggo lontano, in Serbia, Bulgaria e tu arrangiati”.
Ma le cose bisogna farle anche per bene, legalmente: ecco così che
arriva prima l’articolo 8 della legge n. 148 del 2011 del governo
Berlusconi, poi l’accordo interconfederale Confindustria e CGIL CISL e
UIL del 28 giugno 2011, e poi infine il più recente accordo sindacati
Confindustria del 31 maggio 2013, perfezionato con il regolamento del 10
gennaio 2014 che permette, a seconda delle aziende e delle situazioni
di derogare dai contratti nazionali sul piano salariale e normativo.
Derogare dalle norme, specie quelle penali, in genere significa finire
in galera (almeno per i poveretti); in questo caso significa che i
dirigenti sindacali accettano quanto propone il padrone per aumentare lo
sfruttamento, cioè i contratti in deroga, quanto cioè Marchionne due
anni fa ha imposto con la violenza e il ricatto ai lavoratori Fiat,
indicando la strada da percorrere a tutti i padroni.
E’ stata lunga premessa storica per arrivare alla drammatica attualità del caso Electrolux.
All’improvviso
(!?) l’Electrolux, una multinazionale che ha rilevato a suo tempo gli
stabilimenti della Zanussi, esce con una proposta choc per ridurre il
“costo del lavoro” che lascia tutti interdetti. E’ un’azienda svedese,
qualcuno forse sperava anche in odore di socialdemocrazia; niente di
meno vero, l’Electrolux è una azienda come le altre, agisce sul libero
mercato e l’obiettivo è fare profitto; nessun problema, se per
riuscirci, occorre tirare il collo ai dipendenti. La direzione riprende
quanto il capo della Fiat aveva già imposto: “Lavoratrici e lavoratori
dovete prendere o lasciare, mangiare questa minestra o saltare dalla
finestra. Anzi vi cacciamo a pedate dalla porta stessa e ce ne andiamo
altrove, dove facilmente possiamo trovare altri poveretti disposti a
sopportare quello che voi oggi rifiutate”.
Le
proposte aziendali sono semplici: stipendi che scendono da 1400 a
700-800 euro, riduzione del 20% dei premi aziendali, ore lavorate solo
6, blocco dei pagamenti delle festività, riduzione di pause e permessi
sindacali, lo stop agli scatti di anzianità, chiusura di uno degli
stabilimenti italiani. Poche idee, reazionarie, ma molto chiare.
All’improvviso
tutti si stupiscono, i sindacati che gridano (giustamente) allo
scandalo, la Serracchiani, della segreteria di Renzi, qualche dirigente
della Lega che si è scordato di aver votato i provvedimenti di
Berlusconi che già andavano in questa direzione e di aver dato una
montagna di soldi all’azienda svedese quando è arrivata.
In
fondo qual’è la colpa della direzione di Electrolux che ha subito
trovato la benevola comprensione del ministro dello sviluppo Zanonato?
Propone solo una “deroga” un pochino troppo “allargata”; esagera un poco
nelle richieste, ma è perfettamente dentro lo spirito degli accordi
siglati dai burocrati sindacali. La direzione dell’Electrolux sapendo
che dovrà comunque fare una trattativa, si pone in una posizione
vincente, chiedendo il massimo per portare a casa comunque un grosso
risultato, anche se per chiudere l’accordo dovrà fare qualche limatura.
Quelle limature che qualche esponente del governo o burocrate sindacali
potrà domani presentare come grande vittoria, quando invece sarà un
vergognoso cedimento e una sconfitta per i lavoratori.
Se
le direzioni sindacali volessero fare sul serio, se volessero veramente
impedire che dopo la vicenda Fiat quella Electrolux allarghi sempre più
la breccia per cui il lavoro “buono”, ancora coperto da contratti
nazionali, sia scacciato dal “lavoro in deroga”, dovrebbero
immediatamente denunciare l’accordo di venti giorni fa, dire chiaramente
che tutti i padroni che si comportano in questo modo debbono essere
cacciati, che le aziende debbono essere requisite ed espropriate.
Dovrebbero
anche chiamare i lavoratori ad occupare le fabbriche ed impedire che
anche solo uno spillo esca dalle loro porte e finestre. Dovrebbero dire “ci
siamo sbagliati, le cose in tutto il paese hanno preso una brutta piega
per il lavoro; ma ora basta, lavoratrici e lavoratori di tutte le
aziende, vi proponiamo una nuova stagione di lotta, vi proponiamo una
piattaforma rivendicativa basata sulla difesa dei contratti nazionali,
su aumenti salariali per tutti, sulla riduzione d’orario, sulle
nazionalizzazioni e l’intervento pubblico diretto quanto i padroni
licenziano, delocalizzano e ricattano. Vogliamo fare le assemblee in
tutte le fabbriche, discutere democraticamente, passare dalle parole ai
fatti, alla lotta, non lasceremo più i lavoratori di nessuna azienda a
difendersi da soli e il più delle volte sprofondare, non lasceremo più
che il lavoro cattivo scacci quello ancora parzialmente buono”.
Forse
in questo modo la moneta buona, quella che permette di vivere
decentemente, potrebbe ritornare a circolare nel nostro paese.
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